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VERSO LE ELEZIONI COMUNALI - L'ex sindaco Borghini: "Milano negli ultimi 20 anni da bruco è diventata farfalla Bisogna solo lasciarla fare"

L'ex sindaco del capoluogo lombardo, oggi consulente della Sea, corrobora la tesi della sua “allieva” Andrée Ruth Shammah: "Ma certo, Milano è una città fai da te. Negli ultimi vent’anni ha compiuto la sua metamorfosi, è cresciuta senza che nessuno lo prevedesse, da bruco è diventata una grande farfalla" di Rossella Minotti

Giampiero Borghini

Milano, 15 agosto 2015 - Giampiero Borghini, anni nel Pci, poi Forza Italia, sindaco di Milano nel ’92-93, oggi consulente della Sea, corrobora la tesi della sua “allieva” Andrée Ruth Shammah: «Ma certo, Milano è una città fai da te, lo so perché l’ho fatto il sindaco, si potrebbe fare senza...» scherza. Poi torna serio: «Milano negli ultimi vent’anni ha compiuto la sua metamorfosi, è cresciuta senza che nessuno lo prevedesse, da bruco è diventata una grande farfalla».

Che può volare senza una guida?

«I bravi sindaci sono quelli che assecondano Milano nella sua capacità di fare da sé e quelli che la capiscono».

Giuliano Pisapia dovrebbe ripensarci e ricandidarsi?

«Pisapia avrebbe dovuto ricandidarsi, certo. Adesso non mi pare abbia molto significato, inutile insistere. Fare il sindaco di Milano è un ruolo bellissimo, ma bisogna volerlo fare. Evidentemente lui non si è divertito. L’ha fatto bene, ma questo tema della riconferma non esiste, anche perché non è nello stile dei milanesi insistere più di tanto. Renzi insiste perché non ha voglia di avere una grana a Milano, e per giunta non conosce la città».

Quindi chi candidiamo?

«Prima dei nomi, bisogna stabilire di cosa stiamo parlando. Si parte da Milano, non dal centrosinistra o dal centrodestra. Voi che siete il giornale di Milano, dovete fare questa campagna. Non “Chi è il sindaco di Milano?“ ma “Cosa è Milano oggi?”».

Cos’è Milano oggi?

«Milano da grande città del terziario avanzato si è trasformata in città globale di 4-5 milioni di abitanti con il suo grande sistema universitario, sanitario, con gli aereoporti a 50 chilometri dal centro. Oggi è la prima città globale del pensiero avanzato. È la grande politica allora, non la politica politicante a cui ci hanno purtroppo abituati e condannati, che deve domandarsi come si governa una città globale. Certo non con i consigli comunali, ma creando le istituzioni adatte come hanno fatto i grandi sindaci riformisti del passato con le municipalizzate, le scuole civiche, l’Umanitaria... Ora c’è bisogno di una grande fase di costruzione istituzionale che richiede cultura politica, passione, voglia di fare. E non credo che persone adatte si trovino sulla base delle autocandidature».

Quindi bocciati Caputo, Fiano, Majorino?

«Tutte degnissime persone, ma qui serve qualcuno che ha dimostrato nella sua vita di saper governare supermunicipalità complesse. Un sistema di trasporti che va molto al di là dell’Atm; servono esperienze politico-amministrative di questo tipo. Milano ha bisogno di bere un caffè, di svegliarsi, non di bere una camomilla. Abbiamo anche alle spalle una falsa partenza sulla città metropolitana, meglio dimenticarcene e rifare tutto da capo».

Il ruolo dei partiti?

«Intanto basta Renzi che chiede a Pisapia in modo estenuante, umiliante per lui e per tutti, di rimettersi in gioco. Quella di Pisapia è stata l’ultima elezione di quel modo di scegliere i sindaci, molto politicizzata. La considero positiva, nulla da recriminare anche se credo che Giuliano nel profondo del suo cuore si sia accorto che Milano era un po’ migliore di come l’aveva descritta in campagna elettorale, in mano agli speculatori, ai cattivi. Questo “totosindaco” lo vorrei vedere preceduto da vera riflessione. Anche Renzi farebbe molto bene a domandarsi cosa può fare Milano per l’Italia e lui per Milano. Io se fossi in lui farei scegliere ai milanesi il sindaco senza metterci il becco e proporrei un grande patto tra governo nazionale e grande città metropolitana per costruirla insieme, come hanno fatto a Parigi e in Inghilterra con Manchester e Liverpool. Renzi si gioca a Milano il futuro dell’Italia. Ma servono meno propaganda e più serietà. Niente dilettanti per favore».

di Rossella Minotti