
Francesca Taruffi, 47 anni, testimonial di Fondazione Airc (Alberto Gottardo)
Milano – Prevenzione e ricerca sono preziose alleate per l’oncologia e sono le parole chiave dell’iniziativa “Azalea della ricerca“, al 60° anno di Fondazione Airc. Domenica, per la festa della mamma, in 3.900 piazze in Italia a sbocciare saranno le piantine simbolo della salute delle donne, che potranno essere acquistate a fronte di una donazione in favore di Airc. Perché 175.600 è la stima delle nuove diagnosi di tumori femminili in Italia nel 2024. Questi numeri non sono più una condanna senza scampo: due donne su tre che si ammalano di tumore sono vive a 5 anni dalla diagnosi, grazie a ricerca e prevenzione. A testimoniarlo la storia di Francesca Taruffi, oggi 47enne.
La sua storia oncologica inizia da giovane...
“Ho fatto i primi controlli a 14 anni per dei nei strani. Ho scoperto di avere un melanoma nodulare a 29 anni, l’unica cosa che si poteva fare all’epoca era monitorare, operare, fare controlli serrati. Ho avuto i miei due figli Lorenzo ed Elisa, quando lei aveva 5 mesi ho fatto un controllo al seno e mi hanno diagnosticato un carcinoma duttale a medio grado, stesso tumore di mia madre, da lì ho avuto una mastectomia a 37 anni”.
Il tumore al seno è sempre psicologicamente più complicato per una donna?
“I medici hanno deciso di mettermi in menopausa per ridurre la recidiva. All’inizio l’unico pensiero era di riuscire a crescere i miei figli, non lasciar solo mio marito, sopravvivere. Il dopo è stato complesso: non potevo prendere mia figlia in braccio, non riconoscevo più il mio corpo e il percorso è stato lungo”.
Quanto è importante l’aiuto delle psico-oncologhe?
“Molto, allo Ieo dove ho fatto le cure ho avuto una psico-oncologa che mi ha aiutato moltissimo, ho avuto una shock post traumatico dopo la diagnosi”.
Ora a che punto è?
“Bene, faccio controlli annuali. Sono passati vent’anni dal melanoma, per il quale sono guarita, e 10 dal tumore al seno, qui il percorso è più lungo”.
Cosa possiamo dire a chi per paura non fa controlli?
“La prevenzione è vita: io ne sono la testimonianza, per il melanoma se fossi arrivata due mesi dopo non sarei qui. Il tumore è una malattia da cui si può uscire. Quel che possiamo fare è aiutare la ricerca, già domenica con “L’azalea della ricerca“”.
La malattia le ha insegnato a vivere?
“Ho dovuto prima accettarla. Poi tutto quel che viene è un dono, se non l’avessi avuto non avrei capito e fatto tante cose”.
Come si è sentita da donna e da mamma?
“Mi sento molto più donna adesso di quando avevo vent’anni e nessuna cicatrice. Mi sento più mamma perché ho vissuto i miei figli al massimo: all’inizio speravo solo di arrivare a sentire mia figlia chiamarmi “mamma“. Andavo a piccoli passi, nulla di scontato. Ho insegnato ai miei figli a non rimandare mai le cose, anche un ti voglio bene”.
Insegnamenti che le sono serviti anche sul lavoro.
“Sì, ho sempre lavorato, cercando soluzioni per i figli rinunciando a ruoli di responsabilità”.
Cosa dirà ai suoi figli di tutto quello che è successo?
“Sono sempre stata sincera, hanno imparato da questo a stare attenti alle scottature, perché io da giovane ho sbagliato. L’esame del Dna ha dimostrato che non avevo mutazioni genetiche, quindi il melanoma era dovuto ai miei errori. A loro insegnerò che la prevenzione è fondamentale, è una questione di educazione alla ricerca e alla prevenzione. Sarebbe bello insegnarlo anche nelle scuole...”.