SIMONA BALLATORE
Cronaca

Einstein, la lezione infinita: "Anticonformismo e gioco. L’errore è un’opportunità"

Federico Taddia racconta la vita del genio e l’attualità del suo esempio "Insegna che anche la noia può essere produttiva: fa viaggiare il cervello".

Federico Taddia racconta la vita del genio e l’attualità del suo esempio "Insegna che anche la noia può essere produttiva: fa viaggiare il cervello".

Federico Taddia racconta la vita del genio e l’attualità del suo esempio "Insegna che anche la noia può essere produttiva: fa viaggiare il cervello".

Milano – Crescere... con Albert Einstein. Federico Taddia, scrittore, divulgatore, conduttore e autore televisivo, svela la grande eredità che il papà della Fisica moderna lascia ai ragazzi, a 70 anni esatti di distanza dalla sua morte (il 18 aprile del 1955). Fuga dalla meraviglia. La geniale vita di Albert Einstein, fresco di stampa per Mondadori, si rivolge a loro e ai ragazzini dai 10 anni in su.

Cosa insegna Einstein ai ragazzi d’oggi, con la sua storia?

"L’importanza di utilizzare l’immaginazione e la creatività, anche nel fare scienza. Il voler rendere possibile l’impossibile con un approccio giocoso alla vita. Fare le cose per piacere di farle, senza guadagni o finalità. E non stigmatizzare mai l’errore".

Quanto è importante il gioco?

"Il gioco è fantasia, libertà, sperimentazione e palestra. Attraverso il gioco puoi ampliare sia l’immaginazione che la conoscenza".

E quanto è stato importante anche per lui sbagliare?

"Gli errori lo hanno aiutato più volte a cambiare strada e a trovare quella giusta. Degli errori ne ha fatto uno scudo e sono fondamentali in questo mondo performante. Il fallimento va vissuto come opportunità, per rinforzarsi e rivedere tutto da un altro punto di vista. E quanto insegna anche il suo non stare sempre alle regole e non conformarsi?".

Taddia, si immagini a 10 anni con un compagno di banco chiamato Albert. Le sarebbe stato simpatico?

"Me lo sono proprio immaginato nella mia classe: lo avrei odiato e amato. Non potevi non ammirarlo per la sua intelligenza e non odiarlo per quella irriverenza e strafottenza".

E ritrovandolo da adulto, cosa lo ha colpito di lui?

"Più che la parte scientifica, la sua vita, piena di città, viaggi e di altre teste. E anche di compagne, diciamo che la fedeltà non era uno dei suoi talenti. Mi ha colpito anche il suo sapere aspettare e attendere, lo scrivere appunti colmi mentre lavorava all’ufficio dei brevetti, da semplice impiegato. Non ha bruciato le tappe. E poi gli amori per la vela, la natura, la bici... quante passioni. Come fosse in cerca di una grammatica della vita e dell’universo, che ha goduto a pieno. Mi è piaciuto ricostruire l’ultima parte della sua vita, il suo pacifismo militante. Pensarlo in casa a rispondere alle lettere di bambini e bambine o in mezzo al lago. Anche il suo annoiarsi mi ha colpito, il piacere del non fare nulla".

Altro ingrediente che manca ai bambini d’oggi, sommersi di impegni?

"Sì. E anche la noia è importante, fa viaggiare il cervello. Ho scoperto tantissime cose che non conoscevo e 100mila citazioni che attribuiscono a lui ma che non ha mai detto. Ho fatto un po’ di pulizia: ogni citazione è verificata e documentata. Bisogna smascherare anche qualche fake news: non è vero che Albert Einstein andasse male in Matematica, era solo allergico a quel tipo di scuola lì".

Che anche oggi è chiamata a cambiare?

"Albert Einstein ha deciso di diventare Albert Einstein quando gli hanno regalato una bussola: ha vissuto l’esperienza della scienza. Io penso che la scuola possa essere davvero una palestra di esperienze e che si possa vivere la scuola in maniera nuova, ripartendo dalla relazione. Non può restare solo il luogo dell’errore e del giudizio, è un luogo dove puoi sbagliare, allenare i sentimenti e toccare la vita vera. Non deve essere una scuola chiusa e serve un investimento reale per renderla bella e attrezzata. Deve passare dall’essere il posto in cui i ragazzi non vedono l’ora di finire a quello dove non vedono l’ora di entrare".

Tanto più in mancanza di cortili.

"Sì, quanti condomini con solo un bambino o col divieto di giocare. E quanti bambini allo smartphone o alla consolle: pensiamo siano più sicuri chiusi nelle camerette e invece potrebbero fare esperienze".

Perché ha scelto di divulgare la scienza ai ragazzi?

"Ho sempre “masticato” la scienza, mi piaceva sin da ragazzo. In particolare mi affascinano le storie degli scienziati e dei ricercatori, anche di chi ha passato la vita a ricercare senza trovare nulla ma che è stato fondamentale perché ha aperto la strada ad altri colleghi. Racconto queste storie, credo ci sia bisogno di storie di vita, che aprano altre trame, che mostrino ai ragazzi un ventaglio di cosa potrebbero diventare. Le storie aiutano a conoscersi meglio e a capire quante - e quanto articolate - possano essere le strade".

Ha conosciuto Margherita Hack, ha scritto un libro anche con lei.

"Aveva tanti punti comuni con Einstein, come l’approccio scanzonato alla vita, al di là dei capelli, il loro prendersi il tempo, la semplicità di accontentarsi senza mai accontentarsi per davvero, perché ogni risposta trovata era una ripartenza: avevano una grande sete di conoscenza".

Un ricordo personale di Margherita?

"Adoravo il suo essere spiazzante e il suo sorriso. Ricordo gli occhi vivi e vitali e la sua anima punk. Era ironica, irriverente, rigorosa ma soprattutto punk".