Milano – “Doc 4: si comincia". In uno scatto su Instagram, postato dallo sceneggiatore Francesco Arlanch, l’annuncio tanto atteso dai fan (che si sono scatenati mandando cuori e consigli sui destini incrociati di Agnese, Giulia e Andrea): si è già al lavoro per la quarta stagione in onda su Rai1. Nella stanza di scrittura sono seduti in sei, quattro sono ex studenti della Cattolica: Doc è nelle loro mani (o quantomeno nelle loro menti). Con Arlanch ci sono Viola Rispoli e Sabina Marabini, i giovanissimi story editor Cecilia Leardini e Mattia Carnesecca e c’è Edoardo Gino, 31 anni, produttore delegato.
Edoardo, come si è affacciato al mondo delle serie tivù?
"Vengo da un paesino del Novarese, mi sono trasferito a Milano per studiare Lettere moderne alla Cattolica. Stavo cercando di concretizzare la mia passione quando mi sono imbattuto nel Master in sceneggiatura: mi ha colpito per il livello dei professionisti coinvolti. Siamo usciti con un bagaglio di esperienze che ci ha permesso di cominciare subito a lavorare".
Com’è avvenuto l’ingaggio?
"Grazie all’allora capo editoriale Lux Vide, Sara Melodia, e a Luca Bernabei. Dopo la lezione fecero un primo giro di colloqui per trovare un potenziale stagista: così sono entrato in Lux e non sono più uscito. Un passo dal cielo è la serie alla quale ho lavorato più a lungo, ho scritto diverse puntate di Don Matteo e ho visto crescere Doc ".
Il suo ruolo nella serie?
"All’inizio come story editor, poi come produttore delegato, un’esperienza professionale bellissima: segui tutta la lavorazione dalla writers’ room ai set e al montaggio. Luca Bernabei dice che il producer è il filo che tiene insieme le perle della collana, fa da tramite tra tutti i creativi per contribuire allo spirito profondo della stagione e della serie".
Qual è la forza di Doc?
"È una serie travolgente e sorprendente. Ricordo la diffidenza iniziale di tutti: il “medical” non ha una grande storia in Italia, mentre lavoravamo nello scetticismo ci si è messa di mezzo anche la pandemia che, oltre a interrompere le riprese, ci instillava ancora più dubbi: stavamo girando una serie medical, genere al quale gli italiani erano allergici, da mandare in onda nel corso di una pandemia mondiale, quando non si sentiva parlare d’altro che di medici...".
Ma avete vinto la scommessa.
"Una collega aveva promesso di colorarsi i capelli di verde se avessimo superato il 20% di share. Se li è colorati di verde, di blu e di rosso. Un successo fantastico grazie alla scrittura, alla regia, al cast (da Luca Argentero a Matilde Gioli, ndr). E all’aiuto di Pierdante Piccioni, generosissimo con noi: si è aperto raccontando anche le parti più traumatiche della sua storia, ci ha dato feedback continui".
La puntata che preferisce?
"Oltre a quella del terremoto, che ci terrorizzava, direi la puntata 8 della seconda stagione, “Cane blu”, un flashback per ricordare l’esplosione della prima ondata di Covid. Il rischio di scadere nel patetismo era altissimo e invece la storia con la “s” maiuscola è entrata nel racconto ed emoziona. È vero, noi non salviamo vite, ma quando facciamo bene il nostro lavoro possiamo aiutare a vivere meglio".
Non c’è due senza tre e il quattro vien da sé?
"La responsabilità si sente. Per adesso stiamo lanciando idee contro il muro per capire cosa resta attaccato e lavorarci su. Le prime tre stagioni formano un ciclo coerente, una trilogia che racconta passato, presente e futuro di Doc. Abbiamo parlato tra l’altro di Covid, intelligenza artificiale e aspetti giuridici legati alla medicina, temi che si sentono nella quotidianità. La grande sfida è creare una storia altrettanto urgente. Raccontare la vocazione del medico, provato da una sanità che perde i pezzi, è uno dei fattori che ci guida".