"Sono pronto ad accogliere quei ragazzi nella mia comunità, per dialogare con loro e avviare un percorso affinché prendano coscienza di quello che hanno fatto". Lui è don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano, fondatore dell’associazione Kayrós a Vimodrone, che dal 2000 gestisce comunità di accoglienza per minori e servizi educativi per adolescenti. I ragazzi a cui si riferisce sono quelli della banda che venerdì mattina ha preso d’assalto l’istituto professionale Puecher di Rho, con il volto coperto da passamontagna e cappucci, hanno lanciato petardi e fumogeni, scatenando il panico. Uno di loro aveva anche una pistola scacciacani.
Don Claudio possiamo dire di trovarci di fronte a una baby gang?
"Assolutamente no. Anche se non conosco tutti i dettagli di quello che è successo, credo che non si possa parlare di baby gang in senso tecnico. Sarebbe una forzatura. Le gang sono gruppi organizzati o strutturati gerarchicamente, hanno un capo, si riconoscono in un codice. Non penso sia questo il caso, ma piuttosto che ad agire sia stato il classico gruppo di ragazzini, probabilmente legati tra di loro dal fatto di aver frequentato quella scuola, con un rapporto conflittuale con l’istituzione scolastica, il preside o gli insegnanti. Con la loro azione hanno voluto dimostrare di essere forti, la loro potrebbe essere stata un’azione di impulso legata al consumo di qualche sostanza".
Quindi secondo lei è stata una sorta di azione punitiva nei confronti del Puecher?
"Penso che bisognerebbe prima di tutto parlare con loro, ascoltare e capire cosa li ha portati a compiere questa condotta insensata. Nella mia comunità, per esempio, ho ospitato un ragazzo che aveva incendiato la sua scuola, ma nel suo caso era stata una goliardata sfuggita di mano. Probabilmente ci sono degli episodi pregressi tra la scuola e quei ragazzi, magari anche solo con alcuni di loro, che hanno fatto sorgere questo rapporto conflittuale e spinto a organizzare un’azione del genere".
Lei parla di dialogo con i ragazzi e attività di volontariato riparative, molti invece invocano provvedimenti più severi. Qual è la strada giusta?
"Penso che la severità non stia tanto in una punizione severa, ma piuttosto sia insita nel percorso di comprensione di quello che hanno commesso, altrimenti qualsiasi pena o provvedimento rischia di avere un effetto controproducente. E attenzione quando parlo di volontariato o lavori socialmente utili, non intendo due azioni buone per pulirmi la coscienza. Il volontariato deve arrivare da una presa di coscienza e consapevolezza della propria azione e ciò, come ho detto prima, avviene solo ascoltando la loro storia".
Il preside del Puecher ha parlato di un fallimento per il mondo adulto. È d’accordo?
"Probabilmente si, ma credo che anziché cercare colpevoli tra gli adulti, bisognerebbe in forma sistematica tessere relazioni tra adulto e giovani. È fondamentale che tutte le agenzie educative del territorio siano impegnate a creare una rete per aiutare questi ragazzi. Ma bisogna anche costruire un dialogo con gli altri studenti, quelli che hanno subìto il danno di quell’azione creando dei momenti di gruppo in cui parlare".