NICOLA PALMA
Cronaca

Il boss “Rolex e Ferrari” ai fornelli del carcere duro: “Voglio cucinare la sera”. Ma la Cassazione dice no: “Le pentole sono pericolose”

Domenico “Mico” Farinella, erede di un fedelissimo di Totò Riina, aveva chiesto un dietro front sulla riconsegna della cucina dopo le otto di sera sulla base di una presunta lesione del diritto a una “sana alimentazione”

Nel riquadro Domenico Farinella, 64 anni, detenuto a Opera

Nel riquadro Domenico Farinella, 64 anni, detenuto a Opera

Milano, 10 dicembre 2024 – I detenuti al carcere duro possono cucinare solo dalle 7 del mattino alle 8 di sera. Allo scoccare delle 20, devono riconsegnare fornelli e pentole, per riaverli dopo la notte. Del resto, spiega la Cassazione, “le limitazioni previste non incidono sulla sussistenza del diritto soggettivo a una sana alimentazione, adeguatamente esercitabile nell’ampia fascia temporale di 13 ore”.

Così i giudici hanno respinto il ricorso presentato dai legali di Domenico Mico Farinella, 64 anni, il boss palermitano recluso nel penitenziario di Opera che, secondo inchieste e processi, ha ereditato il potere sul mandamento di Ganci e San Mauro Castelverde dal padre Giuseppe, ritenuto a sua volta un fedelissimo di Totò Riina (è stato membro della Commissione di Cosa Nostra) e morto nel 2017 a 92 anni da recluso più anziano d’Italia al 41-bis.

Il curriculum del “sultano”

Il sultano delle Madonie, così è stato ribattezzato Mico per la passione per Rolex e Ferrari, è stato arrestato il 29 novembre 1994 ed è rimasto dietro le sbarre ininterrottamente fino al 2019, quando un ricalcolo della pena (con parziale applicazione dell’indulto) gli ha consentito di evitare l’ergastolo che gli era stato inflitto per la somma di tre condanne (omicidio, estorsione e associazione mafiosa) e di uscire da Voghera dopo 25 anni.

All’epoca, Mico aveva dichiarato che non sarebbe più tornato in Sicilia, ma un anno dopo è stato nuovamente ammanettato nell’operazione “Alastra”, che ha smantellato il mandamento ed evidenziato il ruolo giocato a distanza da Farinella (rimasto a vivere nell’Oltrepò Pavese) con l’aiuto del figlio Giuseppe. Per quell’inchiesta, è stato condannato a 6 anni, che finirà di scontare l’estate prossima.

Nel frattempo, ha presentato un reclamo al magistrato di sorveglianza di Milano per contestare l’obbligo di consegnare fornello e pentole dalle 20 alle 7.

Il perché della “bocciatura”

L’istanza è stata respinta con la seguente motivazione: il divieto previsto da una circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è “giustificato dalla natura pericolosa e potenzialmente offensiva degli oggetti, suscettibili di essere utilizzati in modo improprio dai detenuti”.

In particolare, gli articoli 6 e 8 del regolamento consentono rispettivamente l’utilizzo dalle 7 alle 20 di pentolame (una pentola del diametro di 25 centimetri, un pentolino di 22 centimetri in lega di acciaio leggera e una macchinetta del caffè tipo moka da una tazza) e di fornelli personali a gas “solo per riscaldare cibi già cotti, nonché per la preparazione di bevande calde e cibi di facile e rapido approntamento, ivi compresi i generi surgelati precotti”. In serata, però, tutto deve essere consegnato alle guardie carcerarie ed essere riposto “all’interno della bilancetta, chiusa, fuori dalla cella”.

La difesa di Farinella ha prospettato una presunta lesione del diritto soggettivo del recluso “a una sana alimentazione”. Una tesi rispedita al mittente dai giudici, in totale disaccordo con la teoria, sprovvista “di qualsivoglia base medico-scientifica”, che sostiene che “la ‘sana’ alimentazione conseguirebbe esclusivamente all’assunzione di cibo in orario notturno, ossia in un orario abitualmente destinato al riposo”. Conclusione: Mico può cucinare, ma solo fino alle 20.