Suicidio assistito, la fidanzata Valeria: "Fabiano lotta con me: la legge si farà"

La 40enne plaude alla sentenza della Consulta: l’Italia è ormai pronta a regolare questo tema

Dj Fabo

Dj Fabo

Milano, 25 novembre 2019 - Valeria Imbrogno, la compagna di dj Fabo, milanese morto in Svizzera con il suicidio assistito il 27 febbraio del 2017, si prepara ai prossimi round di un match iniziato quando ha deciso di rendere pubblica la sofferenza del suo Fabiano, rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale. Campionessa di pugilato e laureata in psicologia, 40 anni, Valeria lo ha accompagnato nella sua scelta del suicidio assistito, fino alla clinica svizzera Dignitas dove attorno alle 11.40 ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale nel suo organismo. È stata accanto al radicale Marco Cappato, finito sotto processo a Milano per aver fornito «aiuto al suicidio» a dj Fabo. Processo dal quale è scaturita la decisione della Consulta, che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude l’incriminazione di chi presta aiuto al suicidio. Una sentenza «storica», per l’associazione Luca Coscioni. Valeria, ha letto le motivazioni della sentenza? «Le ho lette con attenzione e, pur non essendo una giurista, trovo che l’impianto sia corretto. Pone adeguate tutele, anche perché viene mantenuto il reato di istigazione al suicidio. Adesso mi auguro che il Parlamento la smetta di fare orecchie da mercante».

La Consulta fa un nuovo richiamo al Parlamento a intervenire con una «compiuta disciplina». Pensa che adesso potrebbe esserci lo spazio per legiferare sul fine vita? «Mi auguro che il Parlamento si senta in dovere di legiferare. A mio avviso questa deve essere una questione che va al di là dei partiti, penso che gli italiani siano pronti per avere libertà di scelta su come morire. L’Italia, pur essendo un Paese cattolico, è pronta per un cambiamento».

I giudici hanno già dato tempo alle Camere, ma finora la richiesta è caduta nel vuoto. «L’Italia è fatta così. Siamo nel 2020 e, solo per restare all’Europa, molti Paesi sono stati più pragmatici di noi sulla questione dell’eutanasia. In questi anni, grazie anche alla nostra battaglia, sono stati fatti passi avanti, ma restiamo ancora indietro anni luce».

Mina Welby ha invitato i medici a «essere coraggiosi». Condivide questo appello? «Lo condivido in pieno. I medici devono avere il coraggio di assistere il paziente in questo percorso, andando oltre il loro credo religioso. La Consulta ribadisce però, giustamente, che non ricadrà sui medici alcun obbligo di prestare aiuto al suicidio. Lascia anche ai medici la piena libertà di scelta. Anche chi vuole morire, però, deve avere il diritto di poterlo fare con dignità, senza doversi sottoporre a un’odissea».

Nella vostra esperienza, qual è stato il ruolo dei medici? «Nessun medico ha mai cercato di ostacolare la volontà di Fabiano. Abbiamo avuto un ottimo rapporto con loro, ed è stato proprio un medico a indirizzarci verso l’associazione Luca Coscioni».

Intanto la Procura di Catania ha chiesto il rinvio a giudizio per Emilio Coveri, presidente dell’associazione Exit, per istigazione al suicidio, nell’ambito dell’inchiesta sul ricorso all’eutanasia di una 47enne che soffriva di una grave forma di depressione. «Ha solo aiutato una persona a compiere la propria volontà, senza commettere alcun tipo di reato».

In questi anni è stata contattata da persone che si trovano a convivere con malati che hanno scelto di porre fine alla propria vita? «Mi hanno contattata in tanti. Consiglio loro di mettere da parte la propria persona e lasciarsi andare alla volontà dell’altro. Io sono stata il braccio di Fabiano, e lo sono ancora» .

Continuerà a lottare? «Io e Fabiano abbiamo ottenuto una vittoria: smetteremo di lottare solo quando, anche in Italia, ci sarà piena libertà di scelta per tutti. Lui non è qui con noi, ma io ci sono e non mi arrendo».

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