DIEGO VINCENTI
Cronaca

Demolire il Leoncavallo? Serve l’ok della Soprintendenza. Il critico Di Pietrantonio: “È arte, va tutelato”

Dopo lo sgombero, resta incerto il destino del Dauntaun con i lavori di TvBoy, Pao e Ozmo e dei murales. Per Di Pietrantonio quei graffiti non sono solo arte urbana, ma un pezzo di storia da preservare

Giacinto Di Pietrantonio curatore critico d’arte docente e per lungo tempo direttore di GAMeC

Giacinto Di Pietrantonio curatore critico d’arte docente e per lungo tempo direttore di GAMeC

MILANO – A sapere come sarebbe finita in agosto, quel giorno ci si sarebbe fermati un’oretta in più. Giusto il tempo di qualche foto ancora. Di un brindisi alla “Cappella Sistina della contemporaneità”, come l’ha definita Vittorio Sgarbi. Perché a luglio Dauntaun aveva brevemente riaperto per celebrare sé stesso e l’Happening Internazionale Underground (HIU): eventi artistici a cavallo del millennio, cresciuti nei sotterranei del Leoncavallo. Proprio lì dove si andava a ballare. Circondati dalle opere di Marco Teatro, Pao, TvBoy, Ozmo, Paolo Buggiani, Zibe. Un concentrato di creatività murale. Il cui valore è dal maggio 2023 tutelato dalla Soprintendenza. Tutela plurale. Rarissima e “ope legis”. Ovvero: le opere non possono subire alterazioni senza prima un parere dell’ente. Problema non secondario per i proprietari dello stabile. A cui si aggiunge il destino dell’archivio legato all’associazione Mamme Antifasciste. Altro baule prezioso. Che fare quindi? Meglio chiedere a un professionista. Tipo Giacinto Di Pietrantonio: curatore, critico, docente, a lungo direttore del GAMeC.

Di Pietrantonio, che idea si è fatto?

“Sono opere che vanno tutelate. Il graffitismo è una forma d’arte internazionale, che ha radici lontane. Io ci riconosco perfino qualcosa dello spirito futurista, che all’inizio Gramsci descriveva come movimento rivoluzionario. In questo senso, al di là della visione politica e delle modalità di intervento, c’è un preciso legame con il Novecento e Milano. Una continuità che va salvaguardata. Come d’altronde il Leoncavallo stesso”.

Cosa intende?

“Può piacere o meno, ma è un pezzo di storia della città e dell’Italia. E non è che si possa cancellare così un pezzo di storia”.

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Come interpreta lo sgombero?

“Intanto, se si sgombera il Leoncavallo bisogna sgomberare anche Casa Pound a Roma. Poi è una coincidenza forte il fatto che succeda proprio in un momento di difficoltà della politica milanese. Mi auguro si trovi una soluzione”.

Torniamo ai graffiti.

“È un linguaggio importante, come ha raccontato il Pac nel 2007 con la mostra Street Art, Sweet Art. Ma la sua forza è proprio lo svilupparsi fuori del sistema dell’arte, lontana da musei, fiere, gallerie. Dai percorsi istituzionali e accademici. Una forma che ormai da tempo ha i suoi talenti e le sue grammatiche, al centro di una evidente ricerca linguistica che si può interpretare con precisione, proprio come si può distinguere un Cattelan da un Pistoletto. Il graffitismo trova forza nella libertà e nelle sue azioni”.

DIPIETRANT
GiacintoDi Pietrantoniocuratorecritico d’artedocentee per lungotempodirettoredi GAMeC

Non è addomesticabile.

“Il controllo ne limita l’energia. E c’è inoltre da considerare che parliamo di un movimento che possiede già al suo interno un ordine e una deontologia artistica. La scelta di dove realizzare le opere non è mai casuale e quasi sempre riguarda vecchie architetture urbane”.

I centri sociali rimangono cantieri di ricerca?

“Sicuramente. C’è ad esempio un archivio di documenti enorme che viene interessato da questa riflessione. Mentre l’esperienza culturale coinvolge musica, performance, teatro. Si parla oggi dei graffiti perché i graffiti rimangono e ci interrogano”.

Quindi Di Pietrantonio, che ne facciamo del Dauntaun?

“Le opere hanno senso nel posto dove sono state pensate. Quindi mi auguro che la Soprintendenza protegga il luogo, obbligando i proprietari a preservarlo. Così come a Venezia si è deciso di restaurare e tenere il graffito di Banksy. Sono scelte che diventano un valore aggiunto, creando inediti punti di attenzione per la città”.

All’estero succede spesso.

“È così. Ma ci vuole un dialogo propositivo fra Comune e proprietari. La cultura è un terreno di confronto, non di scontro”.