ANDREA GIANNI
Cronaca

Il disastro di Pioltello e quel giunto difettoso “sottovalutato”: condannato il capo manutentore ma “i vertici di Rfi non hanno colpe”

Le motivazioni sull’incidente costato la vita alle pendolari: la responsabilità è dell’unità manutentiva. Cade l’accusa delle carenze nel sistema di gestione della sicurezza: “Il difetto era stato rilevato”

Il treno deragliato il 25 gennaio 2018

Il treno deragliato il 25 gennaio 2018

MILANO – Il disastro è “riconducibile esclusivamente alla rottura” del giunto “ammalorato” nel cosiddetto “punto zero”, ma il processo non ha consentito di accertare “al di là di ogni dubbio ragionevole le ipotizzate carenze nel sistema di gestione della sicurezza ferroviaria imputate” all’amministratore delegato di Rfi “alla luce del suo ruolo e delle sue prerogative”. La società che gestisce l’infrastruttura ferroviaria e i suoi vertici, in sostanza, non avrebbero responsabilità nell’incidente ferroviario di Pioltello, provocato dal deragliamento del treno la mattina del 25 gennaio 2018. Quel giorno morirono tre pendolari Ida Maddalena Milanesi, Pierangela Tadini e Alessandra Giuseppina Pirri – a bordo del treno regionale 10452 partito da Cremona e diretto alla stazione di Milano Porta Garibaldi.

Un centinaio di altre persone a bordo rimasero ferite, e da allora si è aperta una lunghissima vicenda giudiziaria arrivata alla sentenza di primo grado solo lo scorso 25 febbraio, con l’assoluzione di 8 imputati tra vertici e dirigenti di Rete ferroviaria italiana, tra cui l’ex ad Maurizio Gentile, oltre alla società imputata per la legge 231. Condannato, a 5 anni e 3 mesi, solo l’ex responsabile dell’Unità manutentiva, Marco Albanesi, che dovrà anche versare, in solido con Rfi una provvisionale di circa un milione e 135mila euro totali a una quarantina di passeggeri che si sono costituiti parte civile, mentre i parenti delle vittime hanno già ottenuto risarcimenti milionari fuori dal processo. Per i giudici, quindi, è responsabile solo l’ultimo anello della catena di comando, mentre invece i pm Leonardo Lesti e Maura Ripamonti, con l’aggiunta Tiziana Siciliano, avevano chiesto altre cinque condanne, tra cui quella di Gentile e della società.

Dalle motivazioni dei giudici, depositate lunedì, emerge che non ci sono prove che da parte dei vertici di Rfi ci siano state “condotte commissive o omissive”, per gli “effettivi flussi informativi” di cui disponevano su quel giunto e sulla “inadeguatezza della manutenzione”. La “difettosità” di quel giunto, scrivono i giudici, “era stata tempestivamente rilevata dagli operatori della manutenzione”. E questo “aspetto, a ben vedere – si legge – comporta già l’irrilevanza di tutte le contestazioni addebitate a Gentile” in relazione alla “politica di gestione della sicurezza”. La “colposa sottovalutazione del rischio, a lui noto, di rottura del giunto” è stata addebitata dai giudici soltanto a Marco Albanesi.

Per il Tribunale fu lui a “lasciare” che, “dopo la posa dei giunti nuovi da destinare alla sostituzione”, trovati dopo la tragedia vicino ai binari, “non si passasse alla fase dell’effettiva sostituzione, consentendo così che le sue condizioni andassero progressivamente peggiorando sino al suo collasso”. I giudici nelle motivazioni analizzano le singole posizioni e parlano della “adeguatezza, in concreto del modello di gestione attuato in Rfi”. Giudici che, ad ogni modo, descrivono nella sentenza il “terrore” vissuto quel mattino dai passeggeri a bordo, con i conseguenti danni fisici e psichici subiti. Nella loro memoria, invece, i pm rilevavano omissioni nella manutenzione e nella sicurezza, dovuta a una politica gestionale improntata al risparmio e alla necessità di non interrompere le corse per effettuare le riparazioni, abbassando così gli standard.