
De Sfroos adora il Naviglio ma anche Milano la città «verticale dei grattacieli alla Spider Man»
Milano, 3 gennaio 2016 - «Milano è un drago perché come nelle favole custodisce un tesoro». Lo racconta il musicista Davide Van De Sfroos. «È meglio farselo alleato altrimenti diventa un nemico temibile».
Di quale tesoro parla? «Per esempio di un disco dei Clash, “Black Market’’. Era l’unico che mancava alla mia collezione. Ormai disperavo di completarla e invece lo trovai qui. Avevo 15 anni, tornai a casa come un conquistatore. Milano allora, per me che vengo da Mezzegra, sul lago di Como, era un luogo della mente».
Che vuol dire? «Mettendo a fuoco le suggestioni che mi avevano dominato da adolescente, Milano era il luogo dove accadevano le cose che raccontava il tg e che qualche volta non capivo, una città con la nebbia e negozi fantastici».
Com’era abituato al paese? «A una strada unica, da una parte c’è il lago, dall’altra i monti, invece a Milano sei in mezzo a un gomitolo di strade. Ed è stata proprio una strada a rendermi Milano meno ostile».
La sua via preferita? «L’Alzaia Naviglio Grande. L’acqua del Naviglio ha addolcito il mio approccio con Milano, mi ha fatto sentire come se fossi ancora sul lago. È stata la camera di compensazione che mi ha permesso di affrontare la città con più coraggio».
Quando è approdato sul Naviglio? «Da bambino, venimmo a trovare un amico di famiglia, Roberto Merz, che abita in viale Gorizia. Mio nonno materno Giacomo era il giardiniere della loro villa a Mezzegra dove i Merz ci ospitarono quando con i miei lasciammo Monza, dove siamo vissuti dal 1965, anno della mia nascita fino al 1968, per poi trasferirci sul lago. Stemmo da loro nell’attesa che fosse pronta la nostra casa. Mia madre e Roberto sono cresciuti insieme».
Sente che Milano le appartiene? «Sì, la linfa delle nostre valli arriva a Milano attraverso il Naviglio. Come il meraviglioso fiume Adda che nasce in Valtellina poi arriva a Lecco e infine a Milano con la Martesana. Le acque lavorano lentamente, ma ti rivelano la strada, come nella vita».
Cosa intende dire? «Ho mollato il liceo negli anni ’80 dopo essere stato bocciato alla maturità. Sono andato a lavorare, ho scaricato camion per cinque anni. Intanto già suonavo in un gruppo poi nel 1999 con “Brèva & Tivàn’’ ho vinto il premio Siae, nell’ambito del premio Tenco e ho capito che l’arte di combinare parole e musica avrebbe sempre fatto parte di me».
E lei canta il maledettismo delle sue valli, la vita in bilico dei contrabbandieri, le storie di cronaca che diventano le leggende del paese. «A queste storie ho voluto dedicare anche il mio nome d’arte “Van De Sfroos’’ che traduce in dialetto tremezzino o laghée “vanno di frodo’’. Nella calma apparente della mia terra, l’adrenalina te la danno questi frontalieri del contrabbando, un po’ criminali un po’ eroi perché affrontano l’impossibile: sfidano la legge e si misurano con la neve, il ghiaccio, la natura nemica pur di varcare il confine e trasportare le merci».
E anche nelle sue canzoni la gente che parla laghée cala a Milano? «Sì, come in “Cau Boi’’ in cui canto la discesa a Milano di tanti di noi che con la paga appena riscossa cercano le donne che hanno visto in tv. In “40 Pass’’, invece, Milano diventa la città del destino per tre uomini molto diversi tra loro: un professore, un portaborse-autista di un politico e un play boy. Conosceranno il carcere e poi si ritroveranno tutti di fronte al Duomo».
Il Duomo le fa sempre paura? «Lo consideravo una montagna e mi faceva soggezione. Ma ora non più. Mi sono riappacificato col grande drago, Milano».
E intanto ha sfornato un nuovo album «Synfuniia» (Universal) in cui ripercorre i suoi successi accompagnato da un’orchestra. E si esibirà dal vivo agli Arcimboldi il 30 e 31 gennaio? «È la prima volta che canto senza chitarra, è come se mi mancasse un punto fermo. Invece sono sostenuto da un’orchestra di 40 musicisti diretti da Vito Lo Re ed eseguo le mie canzoni in forma sinfonica, come se fossero diventate la colonna sonora di un film quello della mia vita che passa anche per Milano».
E la Milano di oggi? «È quella che mi ha catturato. È la Milano verticale dei grattacieli alla Spider Man, ma soprattutto è una città meno concitata, la gente non è spaventata dal futuro, è più serena e consapevole».
di MASSIMILIANO CHIAVARONE
mchiavarone@gmail.com