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Coronavirus, la lettera di una 17enne: "Volevo solo uscire... e mia nonna è morta"

Elisa è a casa da due settimane: ha scritto una lettera che vuole essere un monito a chi sottovaluta la necessità di tutela

Ragazzo di 23 anni picchia la nonna e la minaccia di morte

Milano, 12 marzo 2020 - Ciao, mi chiamo Giulia. Ho diciannove anni. Sono grande, in teoria. Cioè, secondo l’anagrafe, sono una persona adulta. Vivo con mia madre, mio padre e mio fratello. Lui di anni ne ha appena diciotto. Anche lui agli occhi dello stato è una persona adulta. Eppure ora, sia io che lui, siamo come bambini tra le braccia di mia mamma. Mio papà è in cortile da quando abbiamo ricevuto la notizia. Nonna, la mamma di mio papà, è morta stamattina, poco più di un’ora fa. L’ospedale ci ha chiamati e ci ha dato la notizia. Io e mio fratello piangiamo da allora. Papà non ci ha detto una parola. Nemmeno una. Mi sento tanto in colpa. Per lo stato sono una persona adulta, tanto adulta da poter addirittura vivere da sola, guidare, prendere decisioni sulla mia vita. Forse però hanno sbagliato un po’ i conti. Forse diciotto anni non sono abbastanza per diventare una persona adulta. Cioè, non saprei. Mi avevano detto di stare a casa perché c’era il rischio che mi ammalassi di una sorta di influenza, parlano da un po’ solo di quella.

Un certo Coronavirus. In tv hanno detto tante cose e in maniera così noiosa che ho smesso di farci caso a tavola, durante il telegiornale. Su Instagram però avevo letto che morivano in pochi, i più anziani. E poi, dai, perché l’avrei dovuto prendere proprio io? Così l’altra sera, era sabato e io e mio fratello, Francesco, abbiamo deciso di uscire con qualche amico. Eravamo una decina, non tantissimi. Siamo andati a prendere qualche birra e l’abbiamo bevuta tutti insieme, come sempre. Ci siamo passati le sigarette, le avevo finite. Uno dei ragazzi, Leo, all’inizio non voleva uscire. Aveva mal di testa ma l’avevamo convinto. Siamo tornati a casa presto e siamo andati dritti a letto. In un paio di giorni sia a me che a Fra è venuta la febbre, però non mi sono preoccupata. Avevo letto che solo uno su almeno mille persone che facevano il tampone perché aveva dei sintomi aveva il virus. Gli altri hanno solo una semplice influenza così non ci siamo preoccupati. A mamma e papà non abbiamo detto nulla per evitare che si preoccupassero loro. Nonna è venuta trovarci.

L’abbiamo salutata con un bacio, come sempre. Poi però, ci hanno chiamati per dirci che nonna era in ospedale. Ci hanno detto che era positiva al tampone e che quindi avremmo dovuto farlo anche noi e che dovevamo restare in casa. Il giorno dopo ci hanno detto che eravamo anche noi positivi. Anche mamma. Papà no, lui sta bene. Per fortuna non è molto affettuoso. La mattina dopo, stamattina, l’ospedale ci ha richiamati. Purtroppo ha avuto una crisi respiratoria e non avevano più posti in terapia intensiva. Per questo ora piango e mi sento in colpa. Nonna è andata via, per sempre e non la vedrò più. È colpa mia, lo so che è colpa mia. Mamma dice di no ma so che è così. Cioè, io volevo solo divertirmi. Stare in casa era così noioso. Come facevo io a sapere che Leo aveva il virus. C’è, perché dovevo essere proprio io?

Beh, vi dirò la verità. Non mi chiamo Giulia e non ho diciannove anni. Ne ho solo diciassette. Non sono ammalata, anche perché sono chiusa in casa da due settimane. Mia nonna è un po’ vecchia, forse però anche più sana di me, ma non mi andava di metterla in pericolo. Mia sorella è un po’ delicata per quanto riguarda la salute, anche per lei evito di uscire. Non è che salto di gioia per questo, solitamente passo tanto tempo fuori, specie in biblioteca con gli altri ragazzi a studiare. Però stavo pensando. Quante delle persone che al Coronavirus non sono sopravvissute – quindi sì, maggiormente anziani – quanti di loro avevano dei figli e sì, anche dei nipoti? E vuoi che su più di seicento persone che non ce l’hanno fatta, almeno una decina non l’abbiano preso da un parente. Un parente che magari ha detto «Ma sì, sono giovane. Mica muoio» e allora è uscito perché si annoiava. Secondo me questo è egoismo. La tua noia vale più della vita di altre persone? Ci sono pochi posti in terapia intensiva e molti occupano i posti perché sono stati così egoisti da uscire comunque e si sono ammalati e ammalandosi hanno tolto la possibilità a qualcuno di rivedere il nonno o la nonna, perché il sopracitato ha vent’anni e ha la precedenza. Ecco secondo me cosa dovrebbero dire i telegiornali. Parlare secchi, senza peli sulla lingua. Dire che siete egoisti se uscite perché vi annoiate, quando la vostra noia vale la vita di qualcuno. Perché essere gentili e usare parole intelligenti, a quanto pare con molti non basta. Nemmeno con gli adulti spesso. Meglio sputargli addosso che uscendo diventano assassini, perché questa è la verità. Elisa dalla provincia di Milano