
Pillitteri Mi scrive un lettore del sud milanese. È reduce da un’esperienza sgradevole. Si è ritrovato sotto casa un...
Pillitteri
Mi scrive un lettore del sud milanese. È reduce da un’esperienza sgradevole. Si è ritrovato sotto casa un operatore di una società di recupero crediti. Con grande insistenza pretendeva che gli aprisse il portone. Lui si è fermamente rifiutato. E quello, alla fine ha desistito profferendo una delle consuete minacce: "Non finisce qui, possiamo portarle via la casa". Mi chiede se ha fatto bene. E cosa rischia ora, precisando di essere in affitto e di non possedere immobili. La risposta è si, ha fatto benissimo. Ha esercitato un suo preciso diritto: nessuno (tranne le forze dell’ordine su mandato giudiziario) può accedere al domicilio senza il consenso del padrone di casa. E l’episodio è piuttosto significativo di tutta una metodologia. Che si basa su un principio: spararle grosse a casaccio, l’importante è intimidire. E così il solerte operatore non sapeva nemmeno che non c’era nessuna casa da “portare via”. Ma l’ha buttata lì. Del resto si tratta di società che, spesso, trattano molte posizioni debitorie per conto dei creditori. E non sempre stanno a fare istruttorie capillari sulle condizioni patrimoniali del loro bersaglio. Anche il personale, raramente ha una formazione che vada oltre qualche generica rimasticatura giuridica. Ciò che conta è l’aggressività. E la pressione continua. Ma molte delle minacce sono “scoppi a vuoto”. Nel caso di specie, se anche fosse esistito un immobile aggredibile, titolata a farlo non sarebbe stata la società di recupero. Ma solo la creditrice. Nondimeno si tratta di autentiche molestie che, a prescindere dalla fondatezza delle conseguenze minacciate, hanno un effetto destabilizzante su chi le subisce. Anche su chi ha deciso di avviare una procedura per sovraindebitamento e, quindi, sa che il problema sta per essere risolto. Perché nei 6/8 mesi di tempistica fisiologica per giungere al risultato, telefonate (e, financo, accessi domiciliari) non cessano ma anzi. Il mio consiglio, in questi casi, è sempre e solo uno: ignorare. Non è obbligatorio rispondere al telefono o ai messaggi whattsapp. E la tecnologia ci offre una possibilità di cui, nella vita reale, è assai più difficile l’esercizio: bloccare. Se poi la molestia avviene in presenza non resta che da armarsi di garbata fermezza.
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