
Alcune immagini di Hu tratte dal suo profilo Instagram. A destra, un fotogramma del video dell'aggressione in via Lomazzo
Milano – Feste esclusive e sfilate di moda. Foto con calciatori di Serie A e allenatori di fama mondiale. Like e follower da influencer. I social rimandano un’immagine scintillante di WeiWei Hu alias Prince, titolare del locale Sushify a Bergamo e organizzatore di eventi come "Asian Party" all’ombra della Madonnina. Un ritratto da imprenditore affermato che fa a pugni con gli esiti dell’ultima inchiesta della Squadra mobile, che lo descrivono come lo spietato organizzatore e autore materiale del raid andato in scena nove mesi fa in via Lomazzo.

L’indagine degli specialisti di via Fatebenefratelli, coordinati dal pm Isabella Samek Lodovici e guidati dal dirigente Marco Calì e dal funzionario Giovanni Calagna, si è chiusa con l’arresto per tentato omicidio aggravato dalla premeditazione del ristoratore trentunenne nativo della provincia dello Zhejiang e di uno dei complici, il connazionale 19enne Vittorio Fang Zu Chen alias FanShu; manca all’appello il terzo destinatario dell’ordinanza firmata dal gip Domenico Santoro, il 20enne C.Z alias Panda.
La vicenda inizia alle 14.48 del 10 aprile. Un uomo vestito di nero e con il volto coperto da un casco integrale fa irruzione in un locale e senza dire una parola si fionda sul venticinquenne K.L., che sta pranzando con gli amici: cerca di colpirlo al collo con una mannaia, ma l’altro si protegge con un braccio e viene ferito alla mano sinistra, quasi staccata di netto; l’aggressore continua a tirare fendenti, affondando la lama più volte alla schiena.
Un blitz brutale della durata di 10 secondi. Poi la fuga a piedi. K.L. sa chi è stato, o quantomeno lo immagina: "È Prince Hu o qualche uomo che ha mandato lui", lo sentono urlare prima delle sirene di Volanti e ambulanza. Perché? C’è un antefatto.
Qualche giorno prima, i due si sono sfidati on line per una ragazza contesa. O meglio: in una diretta Tik Tok, K.L. ha parlato al suo pubblico di problemi sentimentali e tradimenti, suscitando la reazione infastidita di una ex e di Prince. "Porto io i guantoni da boxe, facciamo tre round da tre minuti... se tu non vieni vengo a trovarti", i messaggi di Hu che preannunciano lo scontro a Chinatown per il lunedì successivo.
Alla fine, la resa dei conti salta: l’8 aprile, K.L. dice al rivale che una scazzottata in strada li renderebbe ridicoli agli occhi di tutta Chinatown e ammette la superiorità di Prince. Che però ha già deciso di agire, all’improvviso e senza farsi riconoscere.
Quello che succede dopo, stando agli accertamenti investigativi, non è altro che l’esecuzione di un piano già concordato: il 31enne corre verso una palestra di via Messina, si sfila la tuta da centauro, indossa jeans e maglietta gialla e rispunta in via Sarpi per costruirsi un alibi; accanto a lui c’è Fanshu, con un borsone nero a tracolla.
Settimana dopo settimana, il cerchio della Mobile si stringe attorno al gruppo dei sospettati: interrogatori, perquisizioni e filmati delle telecamere mettono pressione a Hu e compagnia, che al telefono non fanno mai cenno alla storia per timore di essere intercettati.
Il primo a crollare è un dipendente di Prince, che confida ai genitori: "È stato proprio lui". Poi tocca a C.Z., che, incalzato dalle domande del padre, rivela di aver pedinato K.L. ("Io ero davanti alla porta che andavo avanti e indietro...") e colloca WeiWei Hu sulla scena del crimine: "Lui correva, aveva indossato già i vestiti e correva per raggiungere il posto, poi si è cambiato in palestra... le cose e la borsa della palestra le teneva Fanshu".
Tutti elementi che per il giudice sono sufficienti a tratteggiare "un grave quadro indiziario a carico dei tre indagati e di una quarta, ancora ignota, persona". Quella che per prima ha informato via sms Hu della presenza di K.L. nel ristorante di via Lomazzo.