
Alessia Pifferi durante un’udienza del processo sulla morte della figlia Diana
MILANO – All’epoca era una tirocinante, in servizio nel carcere di San Vittore. E, secondo le accuse in cambio di una “ricompensa“ in denaro, avrebbe effettuato i corsi di Educazione Continua in Medicina (Ecm), attività di formazione a cui sono tenuti i professionisti sanitari, al posto della sua tutor, una delle storiche psicologhe del penitenziario ora coinvolte nel “caso Pifferi”. Esce dal procedimento una delle cinque psicologhe indagate, a vario titolo, per ipotesi di falso e per favoreggiamento.
La professionista, V. N., ha ammesso le sue responsabilità e, attraverso il suo legale, l’avvocato Alessio Di Marco, ha ottenuto dal pm Francesco De Tommasi il parere favorevole alla messa alla prova che consente, in caso di esito positivo del percorso che solitamente comporta anche attività di pubblica utilità e riabilitazione, l’estinzione del reato. Un colpo di spugna su episodi che costituirebbero una “macchia” nel percorso professionale, per una donna che si è da poco affacciata alla carriera. Sulla richiesta di messa alla prova, concordata con la Procura, si esprimerà il giudice, che dovrà anche valutare il percorso.
Nel frattempo il pm ha stralciato dal fascicolo la posizione della donna, indagata per falso ideologico in certificazione amministrativa e induzione in errore di un pubblico ufficiale. Non è coinvolta in presunti illeciti legati ai test somministrati ad Alessia Pifferi, ma in episodi emersi nell’ambito delle indagini sull’operato del team di professioniste che lavoravano nel carcere, ossia l’aver accettato la richiesta della tutor di sostituirsi a lei, effettuando al suo posto e con i suoi dati anagrafici i corsi di formazione professionale, evitandole così una incombenza. In cambio avrebbe ricevuto somme di denaro, con bonifici che sono stati tracciati dagli investigatori. Rischiano invece il processo altre sei persone, che respingono le accuse: quattro psicologhe, l’avvocata Alessia Pontenani, legale di Alessia Pifferi, e il consulente della difesa, lo psichiatra Marco Garbarini.
L’accusa, messa nero su bianco dal pm Francesco De Tommasi nell’avviso di chiusura indagini, è quella di aver messo in atto un “piano precostituito” per aiutare la 39enne Alessia Pifferi - in quel periodo era a processo per aver lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi, Diana, nel luglio 2022 - a far credere al perito nominato dalla Corte d’Assise che era “affetta da un ritardo mentale grave” e almeno “parzialmente incapace di intendere e volere”.
Non solo, quindi, una presunta attività di “manipolazione”, anche attraverso un test falsificato, a cui avrebbero preso parte alcune psicologhe nel carcere di San Vittore, ma anche accuse che riguardano il presunto tentativo della difesa di pilotare l’accertamento super partes. Per l’accusa, l’avvocata Pontenani e il suo consulente, “oltrepassando i limiti di legge” avrebbero messo in atto un “piano” per evitare che Pifferi venisse condannata all’ergastolo. Cosa che è comunque avvenuta, dopo il riconoscimento nella perizia della piena capacità di intendere e volere. È ora in corso il processo di secondo grado, e si attendono gli esiti di una nuova perizia psichiatrica disposta dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano.
Tornando al filone sull’operato delle psicologhe, che ora non lavorano più in carcere, agli atti ci sono diverse intercettazioni. Nelle carte pure le dichiarazioni di Tiziana Morandi, la cosiddetta “mantide della Brianza” che era in carcere con Pifferi. Ha raccontato al pm che l’avvocata avrebbe detto spesso “alla Pifferi” che “lei doveva fare la scema”. La Procura in questa inchiesta, che aveva sollevato forti proteste degli avvocati per gli accertamenti sulla loro collega, aveva già messo in rilievo l’uso del “test di Wais”, arrivando poi a contestare ipotesi di falso sulla consulenza.