DANIELA
Cronaca

Carlo Tognoli e la sua Milano internazionale

Daniela

Mainini*

Non credo esista persona più intrinsecamente legata al destino della sua città di Carlo Tognoli. Milano ha vissuto tanti momenti indimenticabili, come Carlo: dalla fine della guerra, che in tenera età gli ha strappato quel padre mai tornato dalla Russia, alla rinascita, dallo sviluppo economico e morale alle tensioni sociali e al terrorismo, dalla Milano di tangentopoli al suo tramonto, dalla rinascita con Expo, alla nuova Milano post Expo, desiderosa di futuro ma colta di sorpresa dalla maledetta pandemia che ce lo ha strappato. Perché parlare di Milano, della sua storia e del suo destino, significa parlare di Tognoli e perché con lui l’amore per Milano è diventato quel segno distintivo "Amaremilano" che Carlo ha voluto donare al Centro Studi Grande Milano, perché fosse sempre sinonimo di una Milano più grande. Una città non riconducibile alla città murata, e neppure allargata al suo hinterland, ma da riferire a un sistema urbano più vasto, che abbraccia buona parte della Lombardia e non solo e che vive in rapporto costante con le città grandi e piccole che la compongono. Policentrico, metropolitano ma non campanilista, Carlo Tognoli ha aiutato i milanesi a riconoscersi nell’istituzione civica senza chiudersi mai in esasperate forme di identità. Non credo sia sufficiente ricordarlo come il sindaco più giovane di Milano, è stato il sindaco più rispettato dalla città e ciò pare davvero un primato ragguardevole se pensiamo che è stato assoluto protagonista di una storia distrutta da un giustizialismo milanese senza pari. E soprattutto è stato, un grande sindaco socialista, degno rappresentante di una lunga tradizione iniziata con Emilio Caldara e rinverdita nel secondo dopoguerra da Antonio Greppi e dai suoi successori. Un socialista geloso dell’autonomia del suo partito e un convinto sostenitore del riformismo che, proprio a Milano, aveva avuto i suoi maestri in Filippo Turati e Anna Kuliscioff. La fortuna della sua sindacatura si intreccia infatti con i sette anni di Sandro Pertini al Quirinale e con il quadriennio di Bettino Craxi a Palazzo Chigi. Dovremo, tutti insieme, vigilare, quali eredi del segno distintivo Amaremilano, che nessuno si appropri della memoria di Carlo Tognoli per futili scopi elettorali o finalità faziose e di parte perché sarà fedele al suo operato e al suo pensiero solo chi sarà capace di un autentico spirito ambrosiano fatto di unità, forza, pazienza, costruzione e umiltà. Perché Carlo era questo. Di lui ci accompagnino la costanza meneghina, la visione internazionale e il senso della storia, coniugati con misura e valori.*Presidente Centro StudiGrande Milano