
Vincenzo D’Alfonso
Dieci anni di teatro con i detenuti di Bollate. Il carcere «modello» d’Italia, dove il lavoro è parte integrante del programma di riabilitazione, ha permesso a trecento detenuti di diventare attori e farsi applaudire sul palcoscenico di Bollate dal pubblico, come in un qualsiasi teatro. È la cooperativa Estia ad essere riuscita a rendere stabile un progetto artistico che, da quando è nato ad oggi, ha impegnato una cinquantina di persone e ha insegnato, nel decennio, la validità di un’esperienza che per alcuni detenuti è diventata anche un lavoro. Il sodalizio con la Regione e il Comune di Milano, e ultimamente con il teatro dell’Elfo-Puccini, ha fatto sì che a Bollate entrasse anche il teatro come terapia di riflessione sul male con la settimna dedicata a Brecht e la visione dell’Anima buona di Mariangela Melato. Per festeggiare il decennale la cooperativa, sapientemente diretta da Michelina Capato Sartore, porta in scena a Bollate (dal 10 marzo al 13 maggio) 7 spettacoli. Si comincia da Pinocchio e si conclude con i Camerieri della vita, un omaggio al nuovo ristorante gestito e voluto dai detenuti. Tra gli attori c’è Vincenzo D’Alfonso, oggi 43 anni, che sta finendo di scontare la sua pena per l’omicidio di Eugenio Milani, un ragazzo di soli 17 anni che nel 1996 a Crenna, in provincia di Varese, aveva cercato di difendere la madre opponendosi alla rapina messa in atto da D’Alfonso e dal suo complice. Rimase ucciso con un colpo alla testa.
Milano, 4 marzo 2016 - La mobile di Varese è riuscita a prenderlo sei anni dopo. Nella sua casa di Legnano Vincenzo D’Alfonso, originario di Melfi, in Basilicata, che da balordo con piccoli precedenti per furto a 29 anni aveva fatto il salto grosso compiendo una rapina in tabaccheria finita in tragedia, ha evitato l’ergastolo chiesto dal pm grazie al rito abbreviato e sta finendo di scontare vent’anni. Ha usufruito dell’indulto e dell’articolo 21 (regime di semi-libertà per lavoro esterno). Attualmente è in affidamento all’esterno del carcere e sarà definitivamente libero a ottobre del 2017. «Quando sono venuti a casa mia per arrestarmi - racconta oggi - mi sono sentito, se posso dirlo, liberato. Ho detto: è ora che paghi, portatemi dentro. È stato il primo giorno che non mi sono ubriacato».
Dopo 14 anni come rivedi l’uomo di allora?
«Mi vedo come uno stupido che non ascoltava la sua sensibilità. Io ero sempre stato il più buono, ma non dovevo dimostrarlo. Vengo da una famiglia di ladri, ho sempre fatto il ladro. Non sono più la stessa persona».
Hai ucciso un ragazzo.
«Cosa credi che si possa dimenticare? Il prete del carcere di Busto Arsizio dove sono stato i primi quattro anni, mi aveva detto di scrivere una lettera per chiedere perdono a suoi genitori e io ho detto di no. Non era il momento, che è venuto più tardi. Tanto, guarda, l’espiazione non finisce mai. Quando uccidi qualcuno convivi sempre con quello che hai fatto».
Come è entrato il teatro nella tua vita di detenuto?
«Mi è sempre piaciuto fare teatro. Da bambino, a Melfi, organizzavo con mia sorella e le sue amiche delle recite nel sottoscala di casa. A Busto ho cominciato con uno spettacolo in carcere e poi a Bollate ho chiesto di entrare alla Scuola degli attori che era finanziata dalla Regione».
Che tipo di attore sei?
«Dipende dalla parte. Nel primo spettacolo ho avuto una parte comica. Ma mi dicono che sono molto espressivo e perciò posso ricoprire diversi ruoli».
Cosa ti ha dato il teatro?
«Tantissimo. Emozioni e obbligo di guardarsi dentro, di capire chi sei e perchè sei finito in carcere».
Hai una bambina di 5 anni e una compagna. Che padre sei?
«Ho conosciuto la mia attuale compagna durante la semilibertà a Terre di Mezzo, dove lavoravo e tuttora lavoro come magazziniere. Mia figlia è stata una gioia enorme, ma nello stesso tempo mi ha rimesso coi piedi per terra, mi ha costretto a guardarmi dentro perché devo meritarla, devo essere un padre di cui deve andare fiera».
Eri spavaldo quando sei arrivato a uccidere. A casa hanno trovato una foto mentre impugnavi l’arma usata per uccidere quel ragazzo.
«Avevo molta rabbia, usavo la droga e ho preso cocaina anche il giorno per l’assalto. Il teatro non me l’ha tolta, la rabbia, però mi ha aiutato a gestirla».