MARIA GRAZIA LEPORATI
Cronaca

Bullizzato dai coetanei perché è "diverso"

Storia di Daniel, deriso e sbeffeggiato perché si trucca e veste con colori eccentrici. La madre era stata vittima di violenza domestica

Un murale per non dimenticare Andrea Spezzacatena, “Il ragazzo dai pantaloni rosa”

Un murale per non dimenticare Andrea Spezzacatena, “Il ragazzo dai pantaloni rosa”

Siamo fatti "di-versi", ognuno ha della poesia, dei sentimenti, delle emozioni dentro di sé. L’aver visto il film “Pantaloni rosa” ha scosso le nostre coscienze, è prevalsa una sensazione di rabbia per quanto accaduto al protagonista. Amarezza e forse anche un po’ di paura. Dall’altra parte ha scatenato la voglia di reagire, di raccontare.

Vogliamo riportarvi la storia di Daniel (nome di fantasia per ragioni di privacy), un ragazzo di 17 anni dai capelli lunghi e occhi grandi dai quali traspare un velo di tristezza per quanto vissuto nonostante la giovane età. Vive in una città molto piccola dove la gente sa tutto di tutti, quando passa in piazza alcuni coetanei lo definiscono "strano". Ama vestirsi con colori accesi, truccarsi, ma gli altri, quelli che dovrebbero essere suoi amici, dicono che non sono cose per maschi. Bulli che cercano di dare una categoria a tutto perché il "fuori dagli schemi", secondo loro, non è normalità, che traggono forza prendendo in giro chi non si uniforma. Nonostante tutto, lui continua ad amare glitter e il make up: vuole assomigliare a sua madre. Una donna bella, forte, che adora indossare outfit appariscenti. Un tempo poteva farlo solo stando a casa a causa della gelosia del marito che non le permetteva di uscire agghindata come piaceva a lei.

La sera di Ferragosto del 2019 hanno vissuto un incubo. Daniel stava passeggiando quando ha attirato l’attenzione di un gruppo di ragazzi che ha cominciato a guardarlo con disprezzo e deriderlo. Risate e bisbigli risuonavano nella sua testa. I giudizi lo condizionavano al punto da togliergli il respiro. Avrebbe tanto voluto difendersi ma era paralizzato dalla paura. Le lacrime rigavano il volto e il mascara colava dagli occhi. Tornando a casa si sentiva umiliato, ma non era finita. Anche in quello che doveva essere il suo nido, il suo luogo sicuro, era certo di rivivere l’ennesima scenata del padre che lo avrebbe rimproverato per il suo modo di vestire. Invece varcata la soglia di casa, dopo aver chiuso la porta e lasciato le beffe fuori, si trova di fronte a una scena di violenza inaudita.

"Osservavo mia madre alla parete presa per il collo – racconta tra le lacrime – quando mio padre si accorse di me la lasciò cadere a terra continuando a prenderla a calci e schiaffi. Le diceva che era colpa sua se io ero un maschio mancato. Ero solo un ragazzino ma le ferite profonde sono ancora impresse in mente e cuore. Ora io e mia madre ci siamo riappropriati delle nostre vite, siamo tornati liberi, soprattutto non ci colpevolizziamo più. Perché l’essere additati porta poi a credere che sei tu che hai qualcosa che non va, invece no. Il mondo è bello perché vario. Spero che questa storia non succeda più a nessun altro. Bisogna fare memoria e giustizia per tutti coloro che, purtroppo, vengono violentati fisicamente o psicologicamente".

Facciamo rumore, facciamo giustizia, siamo orgogliosi di quello che siamo e non di quello che gli altri vogliono farci essere.