
Danni sul treno dopo l'esplosione di uno degli ordigni
Milano, 7 agosto 2019 - Uno l'avevano nascosto in prima classe sul notturno Milano-Udine: esplose intorno alle due di notte alla stazione di Chiari vicino a Brescia. Un altro venne ritrovato inesploso poco prima delle 23 in Stazione Centrale, sistemato nella seconda classe del convoglio Trieste-Milano-Parigi.
Quella stessa notte di mezzo secolo fa, tra l’otto e il nove agosto del 1969, altri ordigni di piccole dimensioni, erano dieci in tutto, vennero nascosti e fatti esplodere su treni diretti in varie località italiane. Fu un’azione terroristica preordinata e portata a termine dagli esponenti veneti di Ordine nuovo (On), il gruppo neonazista fondato anni prima da Pino Rauti, giornalista e futuro parlamentare missino, guidato nel Triveneto dal dottor Carlo Maria Maggi, medico veneziano che sarà condannato in via definitiva all’ergastolo per la strage di piazza della Loggia a Brescia nel ’74. Otto delle bombe nascoste dai suoi uomini quella notte del ’69 nelle toilette, sotto i sedili o sulle reticelle porta bagagli dei treni, esplosero provocando ferite a dieci viaggiatori e danni all’interno dei convogli. Due quelle che rimasero inerti. Erano state tutte confezionate con saponette di esplosivo sistemate in contenitori di legno con coperchio, due batterie Superpila e un innesco con fiammiferi antivento collegati a un orologio di marca Ruhla. Tutti gli ordigni erano stati elegantemente avvolti in carta regalo.
La calda notte dei treni, quell’agosto di 50 anni fa, segnò un passo avanti nel piano di attentati messo a punto dai capi di Ordine nuovo in una riunione avvenuta a Padova quattro mesi prima, già avviato con i due ordigni fatti esplodere a Milano in Fiera Campionaria e in Stazione Centrale il 25 aprile e con quello ritrovato inesploso al secondo piano di Palazzo di Giustizia di Milano il 25 luglio. Una escalation che avrebbe raggiunto il culmine il 12 dicembre di quello stesso ’69, con la bomba esplosa nel salone della Banca nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, i suoi 17 morti e gli 84 feriti. Una strage voluta proprio da Ordine nuovo, hanno scritto i giudici nelle ultime sentenze. Ma anche - quella del 12 dicembre - l’unica bomba di quel ’69 rimasta senza condannati (l’esperto di esplosivi di On Carlo Digilio fu prescritto) e solo con due “responsabili”: gli ordinovisti Franco Freda e Giovanni Ventura, non più processabili perché in passato erano già stati assolti in via definitiva per insufficienza di prove. Proprio Freda e Ventura però, l’uno all’epoca procuratore legale padovano, l’altro piccolo editore trevigiano, già negli anni ’80 vennero invece condannati in via definitiva a 15 anni di carcere per gli altri attentati del ’69, comprese le bombe dell’otto agosto sui treni.
Di quegli ordigni Ventura si era vantato parlandone con gli amici, poi ammise al giudice di aver chiesto al suo sodale Freda il perché della scelta di nasconderli negli scompartimenti e non solo nelle toilette. «La cellula romana vuole progredire nella strategia terroristica con attentati di sempre maggiore gravità», gli rispose lui, a sentire Ventura. Ma quei due non furono i soli a entrare in azione quella notte di agosto di mezzo secolo fa, e a Milano del resto non vennero. Alle due bombe messe in Stazione Centrale provvide un altro camerata di Ordine nuovo, il padovano Gianni Casalini (fonte “Turco” del Sid, il servizio segreto militare). Trent’anni dopo, al giudice milanese Guido Salvini che indagava sull’estrema destra veneta, Casalini confessò di aver raggiunto Milano in treno da Padova insieme all’altro allora giovane neofascista padovano Ivano Toniolo. «In Stazione c’era molta confusione, era una sera di partenze per le vacanze, bisognava fare in fretta e i congegni a tempo erano stati innescati in una toilette. Toniolo è salito su un convoglio diretto verso l’estero mentre io gli guardavo le spalle, poi abbiamo deposto insieme la seconda bomba su un treno italiano».
Una specie di prova generale in vista di obiettivi ancora più sanguinosi. Mai stati toccati però, Casalini e Toniolo, dalle varie inchieste sulla strage di piazza Fontana. E tutti e due sono ormai scomparsi con i loro segreti: Casalini morto qualche anno fa in una casa di riposo in Veneto, Toniolo nel 2015 in Africa, in Angola dove si era rifugiato da decenni.