Bilal, il rapinatore bambino ritrova l'infanzia perduta: casa, sport e lezioni d’italiano

Il ladro seriale “incubo“ della Stazione Centrale di Milano accolto nella comunità Kayròs

Ha smesso con le benzodiazepine, la raffica di furti e rapine, le evasioni rocambolesche dalle comunità. Nuovo, sorprendente capitolo nella vita di Bilal. Il suo caso era "esploso" a ottobre: il 12enne di origini marocchine aveva messo a segno un numero impressionante di colpi, soprattutto in Stazione Centrale a Milano, ma era sempre stato sempre rilasciato. Under 14: non imputabile. Il 5 novembre è arrivato alla comunità Kayròs di Vimodrone diretta da don Claudio Burgio, che ospita una cinquantina di giovani (Bilal è il più piccolo). Da lì non si è più allontanato. "Non lo avremmo mai immaginato... Una specie di miracolo" racconta don Burgio che è pure cappellano del carcere minorile Beccaria. Resta il mistero dell’età. "Ha sempre dichiarato di avere 12 anni e gli esami ossei lo confermano. Però ne dimostra qualcuno in più. A noi ha raccontato di essere partito dalla sua casa di Fez, in Marocco, quando aveva 9 anni e di aver raggiunto l’Europa viaggiando per Spagna, Francia, Olanda, Germania, Svizzera e Italia. Della famiglia non sappiamo moltissimo se non che vive in uno stato di estrema povertà: il padre avrebbe più di 50 anni, lui sarebbe il più piccolo fra i fratelli".

A novembre , proprio perché per il gip del Tribunale per i minorenni non era certo che avesse già compiuto 14 anni, Bilal era stato scarcerato dal Cpa di Torino. "Quando è arrivato nella nostra comunità era trasandato e in condizioni igieniche precarie. Era “strafatto“ di Rivotril, un farmaco a base di benzodiazepine che compra in Stazione Centrale con pochi soldi. In più c’era la barriera linguistica: non parla bene l’italiano", rivela don Burgio. La chiave per agganciarlo, però, non è stata "sorvegliare e punire". Anzi: "Nella comunità vige un approccio flessibile, libero, poco formale. Prima viene la persona, poi la regola. I cancelli sono aperti giorno e notte ed è pure possibile tenere con sé il cellulare. All’inizio abbiamo fatto interagire Bilal con i ragazzi maghrebini del gruppo. Abbiamo scelto di collocarlo non nella comunità di prima accoglienza ma in quella “avanzata“ dei 17/18enni, perché i più grandi potessero fargli da esempio: con altri cinque giovanissimi condivide uno dei nostri sette appartamenti. Abbiamo spiegato a Bilal che doveva considerare la struttura come casa sua e che doveva sentirsi libero di rimanere, oppure no. Nelle prime notti si è sempre allontanato: tornava al mattino carico di refurtiva. Consegnava le carte di credito dei portafogli rubati che lui altrimenti avrebbe gettato nella spazzatura. I contanti, a quanto pare, li spediva alla famiglia... Ovviamente segnalavamo tutto alla Procura, ma non gli facevamo alcuna predica".

Poi, la svolta. "Dopo una settimana ha smesso di uscire dalla comunità. Ha cominciato a essere più attento all’ordine e al decoro personale. Gli altri ragazzi del suo appartamento lo hanno tirato dentro alle varie attività; si sono comportati da fratelli maggiori. Ma soprattutto, piano piano, è lui che ha voluto partecipare ai progetti. Ha chiesto di entrare nella squadra di calcio e di giocare a tennis. Questi ragazzi hanno bisogno di sentirsi ascoltati, di essere accompagnati in modo concreto: se vedono i fatti, e non ascoltano solo promesse, si fidano un po’ di più. Bilal adesso è molto più sorridente. Ha seguito con entusiasmo in tv l’impresa storica del Marocco ai Mondiali in Qatar. A Natale era al settimo cielo quando ha trovato sotto l’albero un giubbotto che gli piaceva. Sente spesso la madre al telefono".

Con l’anno nuovo arriveranno lezioni di italiano. Ma senza fretta. "L’approccio sarà sempre libero: aspetteremo che lo chieda lui. Impensabile “incatenarlo“ per tutto il giorno a un banco di scuola. Bisognerà procedere per gradi, magari partendo da lezioni private di qualche insegnante in pensione", conclude don Burgio. L’approccio “libertario“ sembra funzionare coi ragazzi “terribili“ più di quello punitivo-repressivo. "In 22 anni di storia della comunità Kayros abbiamo avuto pochissime fughe, quasi tutte di ragazzi stranieri in misura cautelare che non sapevano esattamente dove fossero. Li abbiamo sempre riportati qui, fra noi. A casa".

 

 

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