
Mamma e figlio (foto di repertorio)
Milano, 31 agosto 2018 - Un'odissea iniziata dieci anni fa, quando una mamma cinese arrivata da sola in Italia fu collocata con il suo bambino in una comunità protetta milanese. Si allontanò per trovare lavoro convinta che una volta sistemata avrebbe potuto portare con sè il piccolo, cadendo in un «tragico equivoco», dovuto a «una barriera linguistica oltre che culturale»: la donna, che non parlava italiano, credeva che la comunità svolgesse la funzione di un “asilo di Stato”, strutture diffuse in Cina dove i genitori possono lasciare temporaneamente i figli. Per i Servizi sociali, invece, fu abbandono di minore. Il bimbo fu affidato a un’altra famiglia, e per anni la madre ha potuto incontrarlo solo ogni due settimane in ambiente protetto, facendo la spola tra la Lombardia e il Veneto, dove vive attualmente. È stata aperta una procedura per l’adottabilità (che avrebbe sottratto definitivamente il bambino alla madre), ma il Tribunale per i minorenni di Milano l’ha bloccata, accogliendo l’istanza del legale della cinese, l’avvocato Francesco Miraglia.
Oltre ad aver reintegrato pienamente la madre nella propria responsabilità genitoriale, i giudici hanno anche disposto che il piccolo possa andare a vivere con lei con un «graduale ricongiungimento». È stata dichiarata inoltre la decadenza della responsabilità genitoriale del padre, un 50enne del Bangladesh, rimasto nel Paese asiatico. «Quello che conta - si legge nella sentenza - è che la signora non ha mai abbandonato e mai ha inteso abbandonare il figlio, e il fatto che sia ad oggi presente e viva una relazione di attaccamento tra il minore e la madre. D’altro canto la relazione del minore con la comunità familiare che lo ospita è apparsa poco strutturata».
La donna si è rivolta ai Servizi sociali del Comune di Milano 10 anni fa, chiedendo aiuto nella gestione del figlio. Fu collocata nella comunità con il bambino. Nel dicembre 2010 (il piccolo all’epoca aveva tre anni) la donna si allontanò dalla struttura spiegando agli operatori «di dover cercare un lavoro per poter saldare un debito». Credeva di poter riabbracciare il piccolo una volta sistemata, ma è iniziata l’odissea. «La relazione peritale dà atto del tragico equivoco cui incorre la madre in Italia - scrivono i giudici - convinta che la comunità svolgesse la funzione di un “asilo di Stato”, analogamente a quanto accade in Cina. Con tale convinzione la signora deciderà di lasciare il figlio da solo in comunità, senza comprendere la portata di tale decisione e il significato che in Italia sarebbe stato attribuito a tale condotta».