Milano - Alle ultime Paralimpiadi di Parigi ha sentito il tifo della “sua“ Bicocca, che non l’ha mai persa dai radar e che l’ha appena premiata ‘Alumna dell’anno’.
Arianna Talamona, 30 anni, è nata con una malattia rara: si è avvicinata al nuoto da piccina, spinta dai medici, è diventata una campionessa (è nelle fila della PolhaVarese) e una “influencer dell’inclusione”, con oltre 80mila seguaci tra Tik Tok e Instagram.
È nato un legame speciale con l’università di Bicocca?
“Sì, ed è emozionante ricevere questo riconoscimento: mi continuano a seguire nelle mie imprese, lo apprezzo. Qui ho trascorso anni stupendi: sono uscita di casa per venire a studiare a Milano, vivevo nella residenza universitaria”.
Ha conquistato la laurea triennale e magistrale in Psicologia, tra una gara e l’altra.
“E all’epoca non esisteva ancora la ’Dual Career’ per gli studenti atleti, ma i prof mi hanno sempre sostenuto con gli appelli d’esame, qualche volta dovevo saltare lezione, ma ho sempre recuperato”.
Il segreto?
“Trascorrere più tempo possibile in università, limitare gli spostamenti: studiavo tanto in biblioteca e ottimizzavo il tempo tra lezioni e allenamenti, cercavo di ottenere il massimo risultato nel minimo tempo”.
Come in vasca. Quando ha cominciato a farsi seria?
“Nel 2010. Il primo Europeo è arrivato a 16 anni. Ho cominciato tardi con le gare”.
La soddisfazione più grande?
“Quando ho vinto i Mondiali, nel 2019, a Londra. Primo oro e anche doppio: nei 50 metri delfino e nei 200 metri misti”.
Poi l’argento a Tokyo. Ed è reduce da Parigi.
“Un’esperienza intensa, arrivata dopo il Covid e le Olimpiadi “strane“ di Tokyo. A Parigi abbiamo ritrovato il senso di comunità, del villaggio. Ci siamo vissuti davvero le gare ed essere in Europa ci ha permesso di avere accanto parenti e amici. Il livello era altissimo: è mancata la soddisfazione di una medaglia, ma è stato bellissimo. Ed eravamo uno squadrone”.
E fuori dalla piscina, di cosa va più orgogliosa Arianna?
“Difficile rispondere. Mio marito Roberto sta cercando di suggerire indicandomi la fede (sorride, ndr): è stato un giorno bellissimo, lo ammetto, ma son tante le cose per cui essere felici”.
Dopo la laurea, come sono proseguite le imprese lavorative?
“Mi sono laureata 20 giorni prima che iniziasse la pandemia. Poi mi sono presa un anno sabbatico per dedicarmi solo allo sport e per prepararmi all’appuntamento di Tokyo, che era stato rinviato. L’anno successivo sono tornata a studiare per il master in Sport Digital Marketing e ho cominciato a lavorare in un’agenzia di comunicazione come “content strategist“ per progetti di inclusione”.
È un’influencer su questi temi: quando è cominciato tutto?
“Nel 2016, dopo le mie prime Paralimpiadi ho iniziato a essere più estroversa, prima ero molto timida. Ha vinto il desiderio di comunicare, di raccontare quel che facevo, anche sui social”.
Che nascondono insidie e opportunità: come destreggiarsi?
“Studiando. Siamo in un periodo in cui si è più consapevoli di quello che è il mondo social, di come funziona. Io ho studiato molto e sto anche cambiando il mio modo di stare sui social, per essere ancora più responsabile e presente”.
A Parigi si è acceso un faro sullo sport paralimpico. Qual è la sfida adesso?
“I Giochi aiutano, sono un momento clou, ma servono più riflettori durante l’anno. Bisogna mantenere la discussione sempre accesa, garantire visibilità, non solo per gli atleti. È un modo per fare sapere alle persone con disabilità e ai bambini che c’è uno sport che li aspetta”.
Tra allenamenti e lavoro ha trovato il tempo di tornare a studiare?
“Sì. Sto seguendo un altro master in “Gender Equality, Diversity e Inclusion“ con la Fondazione Brodolini, è molto stimolante. Ogni tanto dovrei calmarmi, ma che ci devo fare? Sono fatta così. Sempre alla ricerca”.