ANDREA MAIETTI
Cronaca

Quel sogno di spanciare fra le libellule

Maietti Tra i persistenti crucci che vengono da lontano c’è quello di non aver mai imparato a nuotare. Ero così gracile...

MaiettiTra i persistenti crucci che vengono da lontano c’è quello di non aver mai imparato a nuotare. Ero così gracile da ragazzo che, fossi nato a Sparta, sarei stato tranquillamente gettato dal Taigeto. A nuotare non insegnava nessuno a quei bei dì. I ragazzini si buttavano o venivano buttati in acqua dai capi tribù: e subito s’ingegnavano di stare a galla. Ho ritrovato una foto ingiallita, seghettata agli orli. Sul retro, a matita, la data (15 giugno 1951), e il seguente virgolettato pensierino: "I miei amici di scuola che li ricorderò sempre per tutta la mia vita". Ah, il tenero calcio alla grammatica! Parlavamo tutti dialetto, allora, e che si arrivasse a compicciare in quinta elementare un pensierino in italiano era un miracolo della maestrona, che ci aveva fatto crescere a bacchettate. Riconosco i miei amici. Dove saranno adesso, Ögiu-biancu e Mata-lögia; El braco e Sivéta; Déghem, Sgarzulon e tutti gli altri che, appena l’aria intepidiva, correvano alla roggia grande a spanciare in acqua, nudi come vermi e allegri come anadoti? Oggi, in piscina o al mare, si tufferebbero (i superstiti) fingendo di esser ancora nella roggia grande, tra i guizzi neri delle ciciabèghe (sanguisughe) e la danza delle spuse (libellule). Io, ahimè, sono fermo alla prima lezione del manuale di nuoto Garzanti, cioè ho appena pucciato piedi circospetti dal bordo della piscina alla Canottieri Adda. Mio padre non era proibizionista come mia madre, ma non ebbe mai cuore neppure lui di buttarmi in Adda, le poche volte che mi ci portò sul suo battello da bracconiere. Anzi, visto il terrore con cui restavo abbrancato alla traversina di prua, mentre lui dava di remo contro la riva per prendere il largo, finì che non mi ci portò più. Il battello: un ricorrente sogno, adesso che sono giunto alla stagione della yellow leaf: "Ohè, prufessur, se vör dì yellow-leaf!?", obietta l’amico Osvaldo. "L’è Scespir, Osvaldo, e la yellow leaf l’è la föja gialda, l’autunno dei nostri giorni che sono tanti, ormai".