MARCELLO POLLASTRI
Cronaca

Professore fatto a pezzi: "Faceva male ai bambini. Il mio amico voleva punirlo"

Deposizione di quattro ore di Grassi in Corte d’Assise

IL PROCESSO Paolo Grassi, 32 anni, durante la deposizione di ieri mattina in Corte d’Assise a Milano

Lodi, 21 ottobre 2015 - «Quel giorno al market Gianluca Civardi mi confidò che prima di morire avrebbe voluto assaporare l’emozione di uccidere un uomo». A dirlo, di fronte alla Corte d’Assise nel processo per il delitto del professore milanese Adriano Manesco, è stato l’amico di una vita dell’imputato, quel Paolo Grassi, piacentino originario di Codogno (Lodi), già condannato qualche mese fa all’ergastolo in primo grado per lo stesso delitto e chiamato ieri a deporre in aula in qualità di testimone. Il 7 agosto 2014 i due avrebbero strangolato e accoltellato a morte il 77enne docente di Estetica nel suo appartamento di via Settembrini a Milano per poi smembrarne il corpo, chiuderlo in un trolley da viaggio poi buttato in un cassonetto della spazzatura a Lodi, vicino alla stazione.

Durante l’udienza Grassi ha aggiunto: «Civardi era disturbato dal fatto che il professor Manesco fosse un pedofilo e che se dovevamo uccidere qualcuno, Manesco era la persona che meritava di più poiché faceva del male ai bambini». Nella desposizione il 32enne ha ripercorso passo dopo passo tutti i dettagli dell’efferato omicidio. In aula quasi nessuno sguardo tra i due, con Civardi che ha ascoltato per lungo tempo seduto con il capo chino, talvolta chiamando a sé i difensori Andrea Bazzani e Francesca Cotani per suggerire qualcosa. Rispondendo alle domande del pm Maria Teresa Latella, Grassi ha ammesso che «tutto il piano è stato deciso di comune accordo sia quando si trattava di entrare in possesso dei dati bancari della vittima sia nella pianificazione dell’omicidio». Un’idea, quella di arrivare ad uccidere, che «è maturata gradualmente».

«Da tempo, fin dal 2012 – ha detto – eravamo stanchi delle nostre vite e meditavamo di cambiarle». Ma come? «Andando via, in un posto caldo e aprire una nostra attività. Pensavamo alla Thailandia, dove eravamo già stati, o al Brasile, senza però escludere altre mete». Poi quel giorno al Rossetti market il piano divenne più nitido: «Mi disse che prima di morire avrebbe voluto provare la sensazione di uccidere una persona». La vittima sacrificale era diventata dunque quel Manesco, il professore di 77 anni che Grassi aveva conosciuto un paio d’anni prima casualmente in un ristorante di Milano, e del quale aveva riferito all’amico non solo la passione per i viaggi in Asia, ma anche le tendenze omosessuali e pedofile. Ragioni che, stando a quanto dichiarato da Grassi in aula, lo rendevano «meritevole di essere ucciso».

Per coronare il loro sogno di fuga, occorreva prima «trasferire il denaro dal suo conto corrente nelle nostre disponibilità, e poi eliminarlo». Così Grassi arriva al racconto di quel 7 agosto. L’arrivo in casa di Manesco intorno alle 15. Poi alle 17,30, prende corpo il piano criminale. «Civardi era seduto sul divano. Manesco afferrò un atlante per mostrarci alcune cartine. Si mise in ginocchio per sfogliarlo. Era in una posizione favorevole. A quel punto Civardi gli tappò la bocca con due guanti in pelle. Io presi un laccio e gli legai le mani. Lo spaventammo, Civardi con un coltellino che gli passai, e io con un taser. Il professore era impaurito e Civardi gli disse che non gli sarebbe accaduto nulla se ci avesse dato tutti i dati bancari riferiti all’home banking. Lui si calmò e ce li diede. Andai nell’altra stanza e verificai che i dati erano corretti». Sul conto di Manesco c’erano 7mila euro, non certo una cifra da capogiro. «Poi tornai – prosegue Grassi - Civardi, mentre gli teneva tappata la bocca, tirò fuori un laccio sottile dalla mia tasca e iniziò a strangolarlo». Poi l’accoltellamento. Dalle 21 quello che Grassi definisce il “depezzamento”. «Chiudemmo il corpo mutilato in una delle tre valigie e, dopo aver pulito tutto, la trasportammo a fatica giù per le scale».