Un incontro di oltre due ore per fare il punto della situazione sulla peste suina, con i massimi esperti del settore, è andato in scena giovedì sera nella sede milanese di Confagricoltura Milano Lodi Monza Brianza. Attorno allo stesso tavolo si sono seduti gli allevatori del territorio, per aggiornamenti sullo sviluppo dell’epidemia arrivata alle porte di Milano, col recente ritrovamento di carcasse di cinghiali nel Parco del Ticino. "Il territorio di Lodi, Milano, Monza Brianza conta oltre 450mila capi e 270 stabilimenti – ha esordito Francesco Pacchiarini, presidente di Confagricoltura interprovinciale –. Il pericolo della Psa non è rappresentato solo dagli abbattimenti degli animali malati o preventivi, ma anche, come sta succedendo nel Pavese, dagli aggravi di costi per gli allevamenti posti in aree con restrizioni". Rudy Milani, presidente nazionale della federazione “Allevamenti suini” di Confagricoltura, ha indicato il caso pavese come emblematico e preoccupante, in relazione alle normative vigenti che ancora non garantiscono sufficienti tutele agli imprenditori colpiti. "La comunità europea - ha spiegato Milani - ha bloccato gli allevamenti del Pavese dal 5 settembre, impedendo la movimentazione e la vendita". Un vero incubo per gli allevatori ora alle prese con enormi problematiche di mantenimento dei capi, con circa 8mila nuovi suinetti a settimana, senza prospettive certe di indennizzo. Nella provincia di Pavia la zona di protezione (con restrizioni e controlli sanitari rafforzati) si estende ora per 10 chilometri e quella di sorveglianza, fascia “tampone” rispetto alla prima, è allargata all’intera provincia. Tredici comuni del Milanese e una quarantina nel Pavese (già in zona di sorveglianza), sono inoltre stati inseriti in zona “infetta”, per il ritrovamento di carcasse di cinghiali positive alla Psa. Qui gli animali possono essere destinati solo a macelli “designati”, che rispettano specifiche regole gestionali per il trattamento delle carni crude.
CronacaPeste suina: "Le norme non ci tutelano"