
Cuno Tarfusser e il luogo dell'incidente mortale
Cortosa di Pavia – Dopo quasi tre anni tra carcere e domiciliari, condannato in primo e secondo grado a 15 anni per omicidio volontario, ieri è stato scarcerato con i giudici dell’Appello bis che hanno riqualificato l’accusa da omicidio volontario a omicidio colposo, portando la pena a due anni e due mesi.
Un caso “kafkiano“, come lo aveva già definito il sostituto pg di Milano Cuno Tarfusser che, come di solito non accade dal fronte dell’accusa, aveva presentato ricorso contro la prima condanna. Ricorso che era stato accolto dalla Cassazione. Ieri si è chiuso il nuovo processo d’Appello, dopo che la Suprema Corte aveva rimandato indietro gli atti accogliendo la tesi del sostituto pg, lo stesso tra l’altro che ha scritto l’ormai noto atto per chiedere di riaprire la vicenda della strage di Erba.
Un anno fa la Corte d’Appello milanese aveva confermato quei 15 anni per omicidio volontario decisi dal gup di Pavia per Nicola Alfano, visagista accusato di avere ucciso nel 2019 l’amico Bruno Lazzerotti, simulando un incidente d’auto in una roggia nel Pavese.
Lazzerotti, 78enne vedovo, aveva iniziato ad uscire con una donna e, secondo l’accusa, la paura di perdere l’eredità di 5 milioni sarebbe stato il motivo per cui Alfano, 49 anni, legato da una lunga amicizia con il pensionato del quale era erede, lo avrebbe affogato fingendo che l’auto su cui i due viaggiavano fosse finita nel canale.
Il pg Tarfusser ha fatto ricorso chiedendo di cancellare l’accusa per Alfano, difeso dai legali Federico Cecconi e Nicolò Velati, e insistendo sul fatto che si fosse trattato semmai di un omicidio colposo, di un incidente. Nell’atto ha scritto di essere andato di persona a fare "un’ispezione dei luoghi".
La condanna, per il pg, era stata "frutto, non della valutazione delle prove" che "non ci sono", ma solo del "giudizio di inverosimiglianza della versione" dell’imputato. Nell’atto lo stesso pg ha segnalato che il 9 giugno 2020, dopo quasi un anno dalla morte dell’anziano, la Procura emise un decreto di intercettazioni "d’urgenza". Intercettazioni che hanno portato la Procura ma anche i giudici a concludere che "proclamarsi innocenti", come faceva l’uomo al telefono, "equivale a dichiararsi colpevoli".