Strage di Erba, cosa c’è nelle carte che chiedono di riaprire il processo a Olindo e Rosa

In Procura generale solo una relazione preliminare. I legali della coppia condannata all’ergastolo insistono: "Confessione non valida, altre piste plausibili"

Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati per la strage di Erba

Olindo Romano e Rosa Bazzi, condannati per la strage di Erba

Prudenza. Troppo prematuro ora parlare di riapertura. Ci vuole tempo (qualche settimana almeno) per leggere e decidere. Quella che il sostituto procuratore generale di Milano, Cuno Tarfusser, ha trasmesso al procuratore generale Francesca Nanni e all’avvocato generale dello Stato Lucilla Tontodonati è una prima relazione di venti pagine, informale e riservata, tecnicamente "interna agli uffici" che (si fa notare con un certo disappunto) sarebbe dovuta rimanere tale. Anche per non ingenerare convinzioni preconcette.

Nella relazione di Tarfusser è spiegato quali sono le "nuove prove" per una rilettura possibile di quanto avvenuto la sera dell’11 dicembre 2006.

“Valutazioni dei fatti” che porterebbero a una pista alternativa e quindi a una possibile richiesta di revisione del processo per la strage di Erba. Spetta però alle due magistrate milanesi decidere se trasmettere o no la richiesta di riaprire il caso alla Corte d’Appello di Brescia, sede in cui potrebbe arrivare anche la richiesta dei difensori dei coniugi Romano.

Le condanne per la strage

Olindo Romano e la moglie Rosa Bazzi scontano una condanna definitiva all’ergastolo perché ritenuti, nei tre gradi di giudizio, gli autori della spietata mattanza, a coltellate e colpi di spranga, che distrusse le vite di Raffaella Castagna, del suo bambino di due anni e mezzo, Youssef Marzouk, della madre Paola Galli, della vicina di casa Valeria Cherubini.

I legali dei Romano (Fabio Schembri, Luisa Bordeaux, Nico D’Ascola) avevano depositato al sostituto pg Tarfusser, per una prima valutazione, le consulenze eseguite in questi mesi. Ecco i punti su cui, in sintesi, si basa la relazione.

Il dubbio ricordo

Mario Frigerio, marito della Cherubini, unico sopravvissuto al massacro, prima di indicare come suo aggressore il vicino di casa Olindo Romano, descrisse un personaggio con caratteristiche somatiche diverse: carnagione olivastra, occhi scuri, basso.

Secondo il pool di neurologi, neuropsichiatri è scientificamente impossibile che un ricordo cambi in maniera tanto radicale, passando da un volto sconosciuto a uno familiare.

Le false confessioni

Secondo i consulenti delle difesa quelle in cui i Romano ammisero la loro colpevolezza e descrissero le varie fasi del massacro sono "false confessioni acquiescenti", fatte nella speranza di usufruire di qualche beneficio.

L’esame effettuato dal genetista forense Marzio Capra, consulente della difesa, ha evidenziato chiare difformità fra la descrizione della traccia ematica, così come era stata repertata dai carabinieri, rispetto alle caratteristiche accertate nelle analisi di laboratorio svolte all’Università di Pavia.

La lingua tagliata e l’incendio

Due consulenze riguardano Valeria Cherubini. Una è la Bpa, la Bloodstain pattern analysis, ossia la collocazione delle tracce di sangue in casa dell’ultima vittima. La donna fu inseguita dall’assassino sulle scale, raggiunta e finita nella sua mansarda, tanto che venne rinvenuta accovacciata accanto a una finestra. Aveva la lingua tagliata.

Quindi, argomenta la difesa, era viva anche se in balia del massacratore quando lanciò le invocazioni di aiuto, raccolte da due vicini, i primi soccorritori, richiamati dall’incendio appiccato in casa di Raffaella Castagna. Se i Romano, dopo la strage, fossero scesi nel cortile, ormai in allarme, sarebbero stati sicuramente notati e riconosciuti.

L’ipotesi dello spaccio di droga

La difesa giocherà le sue carte anche su due testimonianze. Una porterebbe alla pista dello spaccio di stupefacenti. Un tunisino, Abdi Kais, amico di Azouz Marzouk, marito di Raffaella Castagna, frequentava ogni giorno l’appartamento di via Diaz dove si consumò la strage. Kais faceva parte del gruppo, che raccoglieva i due fratelli di Azouz e altri, in dura concorrenza con una consorteria di marocchini sul mercato della droga.

Si verificarono scontri, episodi violenti, come i ferimenti di uno dei Marzouk e dello stesso Kais. Secondo il tunisino, i proventi dello spaccio venivano custoditi nell’appartamento che Raffaela divideva con il marito e il figlioletto, dove un giorno qualcuno tentò di introdursi.