Lodi, detenuto fugge nell'ora d'aria: poi si costituisce. L’evasione beffa divide

Quattordici i casi in un anno

La casa circondariale di Lodi

La casa circondariale di Lodi

Lodi, 8 maggio 2018 - Evaso per amore. É durata meno di 48 ore la fuga di Mohamed El Madaoui, il 22enne spacciatore marocchino, che sabato alle 14 era riuscito a scappare dal carcere della Cagnola durante l’ora d’aria. Si era diretto a San Giuliano Milanese, a casa della compagna incinta, che dovrebbe partorire nei prossimi giorni. Il pusher ieri ha però deciso di costituirsi dopo una breve trattativa tra il pm Alessia Menegazzo, lo stesso magistrato che il 24 aprile scorso l’aveva arrestato e spedito in carcere, e la compagna del detenuto. Sarebbe stata la donna a convincere il fidanzato a ripresentarsi al carcere di Lodi. Intorno alle 15 poi è stato interrogato dal pm lodigiano davanti al suo avvocato Emanuela Bricconi. Il pusher si è scusato per essere evaso dal carcere, ma non ha spiegato alla Procura di Lodi come aveva fatto a fuggire e se qualcuno l’aveva aiutato ad arrivare a San Giuliano Milanese. Intanto, il giovane è stato trasferito, scortato da due volanti, nel carcere milanese di Opera.

Il marocchino di 22 anni che sabato aveva saltato il muro di cinta del carcere di Lodi, dove sembra che al momento il sistema di allarme antiscavalcamento con sensori non fosse attivo, ieri si è costituito. Ma fuori dalle sbarre resta aperta il problema di carceri che appaiono sempre più colabrodo. Nel 2017, secondo il Sappe, Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria, in Lombardia ci sono state 14 evasioni, di cui 8 da permessi premio, 6 da lavoro esterno; in totale in Italia sono state 6 da penitenziari, 17 da permessi premio, 11 da lavoro esterno, 11 da semilibertà, 21 da mancati rientri e 3 da permessi di necessità. Prima di Lodi, l’ultima evasione dal carcere era stata nel 2015 da Bollate.

Il segretario generale del Sappe, Donato Capece, non esita a individuare i responsabili nei «colletti bianchi»: «La sicurezza interna delle carceri è stata annientata da provvedimenti scellerati come la vigilanza dinamica e il regime aperto, dall’aver tolto le sentinelle di sorveglianza dalle mura di cinta, dal mancato finanziamento dei servizi anti-intrusione e anti-scavalcamento, dalla mancanza di personale» era stato il primo commento a caldo. Ieri, dopo la resa dell’evaso, l’attenzione si è spostata sugli eventi critici accaduti nel carcere di Lodi nel 2017: 13 atti di autolesionismo, 15 colluttazioni e 2 ferimenti, e, più in generale, in tutta Italia, il problema dell’aumento dei detenuti stanieri, «passati da essere negli anni ‘90 il 15% ai quasi 20 mila di oggi, ossia 1 su 3. Fare scontare agli immigrati condannati in Italia la pena nelle carceri dei paesi d’origine può essere un forte deterrente. Ma le espulsioni in tal senso sono state assai contenute, oserei dire impercettibili».

«Il problema del personale è nazionale, la legge Madia ha anche abbassato le piante organiche, dobbiamo lavorare con quello che abbiamo - replica Luigi Pagano, provveditore penitenziario della Lombardia -. Siamo la regione con più detenuti: 1.000 a San Vittore, 1.300 a Opera tra cui ergastolani e sottoposti al regime del 41/bis, 1.200 a Bollate. A Lodi sono 76 e cerchiamo di tenere quelli meno a rischio. La vigilanza dinamica? Non l’abbiamo inventata noi. La Corte Europea dei diritti dell’uomo 5 anni fa ci ha condannati per sovrannumero e trattamento nelle carceri. C’è da distinguere tra imputati e condannati, c’è il rischio suicidio».