I segreti del Rugby Sound, come nasce un festival musicale di successo

Fulvio De Rosa, direttore generale di Shining Production, ci porta dietro le quinte della manifestazione legnanese

Fulvio De Rosa

Fulvio De Rosa

Il Rugby Sound 2023 si appresta a infrangere il record delle 60mila presenza. Dieci giorni di eventi, concerti, di musica a tutto tondo. All'insegna del rugby. Perché, se è vero che il festival non è ormai da tempo più soltanto la "festa del rugby", comunque lo spirito della palla ovale rimane. Fulvio De Rosa è il direttore generale di Shining Production, che ormai da oltre dieci anni è al centro dell’organizzazione del Rugby Sound.

De Rosa, quanto tempo richiede l’organizzazione di un festival del genere?

"Dal punto di vista artistico, i primi contatti con artisti e gruppi musicali principali si iniziano a ottobre-novembre. Avendo un club, ho modo di testare tutto l’anno l’andamento del mercato e di capire quali sono i nomi più interessanti. Da ottobre a dicembre si prendono i contatti con i nomi internazionali, poi c’è uno stop e si riprende a febbraio dopo il Festival di Sanremo con quelli italiani. Tra febbraio e aprile si definisce tutto. È come il calciomercato: prima di Sanremo fai le prime scommesse. Il problema è che se l’artista in questione fa flop al Festival non puoi ripensarci, mentre se fa successo può ripensarci lui. E’ stato il caso di Lazza quest’anno per il Rugby Sound. Poi ci sono artisti come Salmo e Articolo 31 che sono habituè qui a Legnano. Poi abbiamo alcuni format di intrattenimento che non passano mai di moda. Ogni anno cerchiamo di inserire qualche chicca”.

Quella di questa edizione?

“Motel Connection e Planet Funk. Che si sono delineati tardi, abbiamo anticipato di un giorno il Rugby Sound proprio per averli. Siamo anche riusciti a mantenere con il Comune la tradizione di offrire la prima serata a un prezzo irrisorio. Abbiamo avuto più di seimila presenze, nonostante la bomba d’acqua”.

Quali sono i criteri di scelta per gli artisti?

"Non mi baso mai solo sui miei gusti, ho sempre cercato di toccare tutti i generi. Quest’anno c’è un duopolio tra urban e nostalgia anni ‘90-2000. Non è l’anno di rock e reggae, abbiamo dovuto abbandonare un po’ l’anima reggae del Rugby Sound delle origini, anche se abbiamo cercato di riproporlo un po’ con i Boomdabash. Cerchiamo poi anche di riportare qui ciclicamente gruppi e artisti che hanno fatto la storia di questo festival”.

Il sogno?

"Da un po’ di anni cerchiamo di portare gruppi stranieri che possono fare la differenza: Offspring, Nofx, Rancid. Non riusciamo mai a far combaciare le nostre date con le loro, ma continuiamo a lavorarci”.

Il Rugby Sound è diventato ormai un festival riconosciuto e noto in tutta Europa..

"Questa è la 23esima edizione del Rugby sound e la dodicesima targata Shining. È un esempio di quelle realtà che partono da zero come festa di un’associazione e che poi diventano di un certo livello. Oggi per un percorso del genere non ci sarebbero più le condizioni. Si deve partire subito alti”.

L’obiettivo è crescere ancora?

“No, l’ideale è mantenere questa dimensione, anche perché in questo modo è vivibile e gestibile. Ogni anno però cerchiamo di potenziare servizi, camerini, area hospitality degli artisti. E poi vorremmo potenziare il Waikiki, ovvero il tendone del terzo tempo”.