Legnano (Milano) – Settantacinque anni di vita, uno nuovo spettacolo portato in scena ogni anno da un quarto di secolo a questa parte, 140 date a stagione nei teatri tra il Nord Italia e Roma, 150mila spettatori e una percentuale di sold out che sfiora il 90 per cento.
In questi giorni la compagnia dei Legnanesi, fondata nel 1949 da Felice Musazzi e Tony Barlocco, torna sui palcoscenici rinnovando il mistero di un successo che sembra non esaurirsi e che resiste anche alle polemiche che accompagnano ogni avvicendamento nel manipolo d’attori composto rigorosamente di soli uomini, anche per i ruoli femminili. A gestire le danze è da 23 anni il sessantaduenne Antonio Provasio, chiamato a impersonare la Teresa dopo Felice Musazzi, il personaggio chiave che sul palco gioca ancora di sponda con la Mabilia, la figlia portata in scena da Enrico Dalceri, e il Giovanni, il marito che oggi ha il volto di Italo Giglioli: con loro, sul palco e nel retropalco, un gruppo di lavoro di oltre 40 persone.
“Sì, sono 23 anni quest’anno: è incredibile ma ho firmato più spettacoli io di Felice Musazzi perché allora ogni show veniva portato in scena per tre anni di fila. Poi è cambiato un po’ tutto, a partire dalla gestione dei teatri. Prendi Milano: già vent’anni fa se non portavi ogni anno uno spettacolo nuovo, non ti prendeva nessuno: non abbiamo fatto altro che adattarci ai tempi che cambiavano e oggi, solo nel capoluogo, facciamo una media di oltre 40 date a stagione e riusciamo a portare circa 40mila spettatori. Sono numeri che talvolta impressionano anche me”.
Anche il pubblico è cambiato, come la comicità: anche in questo avete dovuto adattarvi?
“La nostra società brucia tutto in un attimo e anche la comicità è cambiata di conseguenza. È tutto molto più veloce e abbiamo cambiato i tempi delle battute: dunque abbiamo ringiovanito i testi e i personaggi, abbiamo un po’ “cabarettizzato“ i caratteri. Senza portare innovazione, avremmo avuto sale vuote: lo zoccolo duro del nostro pubblico era composto da settantenni, adesso in sala vediamo famiglie intere e un target che parte dai 40 anni. La costante è che la nostra è una comicità diretta e mai volgare”.
Quindi anche il dialetto legnanese dei primi spettacoli è cambiato?
“Credo che quella sia stata la mutazione più difficile: lo abbiamo un po’ italianizzato, pur mantenendo vive le nostre tradizioni e la nostra cultura, ma questo ci ha sdoganati, ci ha dato una dimensione nazionale evitando di “autoghettizzarci“. Anche nelle storie compaiono riferimenti diversi rispetto al passato: nello spettacolo di quest’anno si parte da Tinder e si finisce in Giappone perché si deve comprendere che la casa di corte che fa da quinta a gran parte degli spettacoli non è solo un’ambientazione fisica. Il cortile era voglia di stare insieme, desiderio di condividere: oggi quasi un’utopia che, lo vediamo ogni sera, se riportata alla memoria ancora commuove”.