Morimondo tra fede e storia. L’abbazia pronta a ricevere la reliquia di San Pampuri

La celebrazione il primo maggio a trentacinque anni dalla canonizzazione .

Morimondo tra fede e storia. L’abbazia pronta a ricevere la reliquia di San Pampuri

Morimondo tra fede e storia. L’abbazia pronta a ricevere la reliquia di San Pampuri

A trentacinque anni dalla canonizzazione Morimondo si appresta a riabbracciare il suo santo-medico, san Riccardo Pampuri. Nella serata del primo maggio fra Massimo Villa, superiore provinciale dell’ordine dei Fatebenefratelli, porterà in dono alla parrocchia un reliquario. L’arrivo è previsto all’abbazia per le 20.45, a cui seguirà poi una funzione religiosa. San Pampuri, le cui spoglie mortali si trovano nella chiesa di Trivolzio (Pavia), ha trascorso alcuni anni della sua vita a Morimondo, quando, prima di prendere i voti, era stato mandato tra le cascine del paese a svolgere il ruolo di medico condotto. Nato a Trivolzio nel 1897, Erminio Filippo Pampuri restò quasi subito orfano della madre e il padre morì quando aveva 10 anni. Venne accolto ed educato nella casa degli zii materni, Carlo, un medico, e Maria.

Dopo il liceo a Pavia cominciò a frequentare l’università, laureandosi in medicina nel 1921, dopo che era stato in guerra, prestando servizio militare prima da sergente e poi come ufficiale aspirante medico. Era a Caporetto nei giorni in cui venne sfondato il fronte italiano. Pampuri, con un atto eroico (che gli valse una medaglia di bronzo al valore militare), riuscì da solo, sotto la pioggia e le bombe, a riportare nel nuovo fronte italiano tutto il materiale sanitario dell’ospedale da campo che era stato precipitosamente abbandonato, compiendo una marcia di ventiquattro ore con un carro trainato da una mucca. Dopo la laurea ottenne la condotta di Morimondo. La sua casa era nella foresteria del convento, dove venne ad abitare con la sorella Rita che gli faceva da domestica. Appartenente all’Azione Cattolica fin da ragazzo,a Morimondo fu prezioso collaboratore del parroco, confondatore del Circolo della Gioventù, di cui fu il primo presidente, e del corpo musicale.

Fu pure segretario della commissione missionaria della parrocchia. Nell’esercizio della professione, visitava gli infermi senza mai risparmiarsi né di giorno né di notte. Essendo i malati in gran parte poveri, dava loro medicine, danaro, alimenti, indumenti, coperte, ed estendeva la sua carità anche ai lavoratori e ai bisognosi delle cascine vicine. Già allora la gente lo chiamava "dottorino santo". Lasciò la condotta sei anni dopo per entrare nell’ordine dei Fatebenefratelli, dove emise i voti religiosi nel 1928. Morirà a 33 anni per la pleurite che aveva contratto proprio negli anni della guerra e che nel tempo lo ha sempre più debilitato. Giovanni Chiodini