
Renato Vallanzasca, 75 anni, con Tino Stefanini, 72, in tribunale a Bergamo all’inizio degli anni Ottanta. Vallanzasca è stato condannato a quattro ergastoli: dopo 52 anni in carcere ora è agli arresti in una Rsa
MILANO – “Chiederò al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al ministro Nordio la grazia per Renato Vallanzasca. Non ha senso che rimanga agli arresti domiciliari un uomo che sta male e vive in uno stato di demenza totale, che non ricorda più niente di sé, del suo passato, di quello che ha fatto”. Tino (all’anagrafe Alfredo Santino) Stefanini parla nella casa che fu di sua madre. Esponente di spicco e uno dei tre superstiti, con Renato Vallanzasca e Osvaldo (Cico) Monopoli della banda che imperversò a Milano e non solo. Un omicidio, decine di rapine. Settantadue anni di cui 49 trascorsi entrando e uscendo da una quarantina di patrie galere, con le parentesi di due evasioni. Oggi, placato e regolati tutti i conti con la giustizia, vive a Milano, quartiere Gallaratese.

Stefanini, perché ritiene che sia giusto graziare Vallanzasca?
“Per quel poco che so, sta male, non ha più coscienza di sé, ha smarrito la sua identità e la memoria di quello che è stato. Non si regge in piedi. Per questo chiederò la grazia e se qualcuno la vorrà firmare con me, sarà il benvenuto”.
Nel novembre scorso Vallanzasca è stato trasferito dal carcere di Bollate in una Rsa, nel Padovano, che si occupa di malati di Alzheimer e demenza.
“Non discuto che Renato sia assistito come meglio non si potrebbe. Ma è agli arresti domiciliari e quindi rimane un detenuto. Un conto è essere curato da detenuto e un conto da uomo libero, magari in una struttura più vicina, in Lombardia, in modo che noi, suoi amici, abbiamo la possibilità di andare a trovarlo. Prima di Natale io e Cico, attraverso il suo avvocato, abbiamo fatto l’istanza per una visita e non abbiamo ricevuto risposta. Anche a Micaela Palmieri, che ha scritto con Renato il libro ‘Malanotte’, è stato negato un incontro”.

Vallanzasca libero da chi verrebbe seguito, chi si accollerebbe le spese per l’assistenza?
“Ci sono persone pronte a farlo, a pagare le rette, a impegnarsi per il suo mantenimento. Poi Renato ha una pensione. È chiaro che deve rimanere in un ambiente sanitario specializzato”.
Quando l’ha visto l’ultima volta?
“Un paio di anni fa. Era alla comunità ‘Il Gabbiano’, da Cecco Bellosi. È arrivata una videochiamata e me l’hanno passato. L’ho salutato: ‘Ciao Renato’. Mi ha fatto un mezzo sorriso”.

Nell’iter dell’eventuale concessione della domanda è previsto il parere dei familiari delle vittime. Vallanzasca non si è mai pentito, non ha mai rinnegato il suo passato, non ha mai chiesto perdono.
“Se parliamo di perdono, questo non ci sarà mai. Da un punto di vista umano, lo posso anche capire. Ma vorrei che si capisse anche chi è oggi Renato Vallanzasca: un malato irrecuperabile. Quanti detenuti sono usciti per gravi motivi di salute? Come ho detto altre volte, le sue scuse sarebbero state un fatto mediatico che non avrebbe restituito niente né aggiustato niente. Siamo stati insieme a Bollate per 5 anni. Posso dire che negli ultimi tempi, quando era ancora lucido, Renato aveva riflettuto sul suo passato. Lo stesso vale per me. Non rimpiango. Penso a cose che si potevano evitare, mentre altre mi procurano dispiacere. Erano anni così. Una vita così. Non la rifarei. Quando posso, cerco di mettere in guardia i giovani. Sono andato dentro che ero ancora un ragazzo, ho fatto quasi cinquant’anni di carcere. Oggi di anni ne ho 72, Cico ne ha ottantuno, Renato ne compie 75 (oggi, ndr)”.
Come vive oggi Tino Stefanini?
“Le mie giornate sono normali. Mio fratello, mio figlio, la nipotina da andare a prendere a scuola. In cinque produciamo una linea di magliette che abbiamo chiamato Malamilano. Tutti i lunedì faccio una diretta su TikTok, molto seguita. Qualche cena con gli amici, ma alle dieci di sera sento il bisogno di ritirarmi. Non è più il tempo di quando facevo il giro dei locali notturni o arrivavo in macchina fino in piazza Duomo. Mi invitano alle presentazioni di ‘Figli delle catastrofi’, il libro che ho scritto con Giorgio Panizzari, uno dei fondatori dei Nap. Mi applaudono regolarmente quando dico: ‘Oggi tutti parlano male delle banche. Io le banche le rapinavo e mi hanno messo in galera’”.
Le piace la Milano di adesso?
“Neanche un po’. Fra maranza e baby gang la gente è spaventata. Prima non era così. C’erano sparatorie con le bande rivali o con la polizia, ma la gente non aveva paura. A me sono entrati in casa, avevo dimenticato la porta aperta. Hanno lasciato tutto in ordine e portato via la cassaforte. A me, che ho fatto anche il ladro”.