Dentro, gli interrogatori dei sei indagati nell’inchiesta della Procura. Fuori, la protesta di 15 operai non pagati dall’impresa edile per cui lavorano. Cronaca di una giornata, quella di ieri, vissuta a Palazzo di Giustizia di Milano. Due facce della stessa medaglia, quella di un’urbanistica finita al centro di un presunto “sistema urbanistico deviato” come l’hanno definito i pubblici ministeri.
Da una parte manager con stipendi a sei cifre, al timone di aziende che fatturano milioni a suon di palazzoni tirati su – sostiene la Procura – piegando norme urbanistiche con l’aiuto di coloro che, al contrario, sarebbero pagati per vigilare su uno sviluppo armonioso di Milano. Gli stessi che poi organizzano convegni per spiegarci come combattere la crescente cementificazione di una città dove ormai i prezzi delle case hanno raggiunto vette inarrivabili.
Ha ragione Elena Granata, docente di Urbanistica al Politecnico di Milano, quando sostiene che “l’urbanistica è una forma di democrazia, è l’insieme di strumenti che una città si dà per adeguarsi ai bisogni del presente”. Oggi l’urbanistica a Milano invece sembra ormai solo un affare privato tra imprese, fondi immobiliari, investitori e uffici tecnici.
I grandi assenti? I cittadini. La conferma arriva anche dall’archistar Fuksas: “Il potere è dei fondi e Airbnb, le città hanno perso gli abitanti. La politica? Ormai è impotente”. Il modello è quello di una città di e per ricchi, che nel weekend si trasferiscono nelle seconde case e tanti saluti agli studenti universitari e alle giovani coppie che in un contesto così non possono permettersi un tetto per il futuro.
Come se ne esce? Bisogna “capire che un grande progetto non è un progetto grande”, come spiega ancora Granata. Serve uscire dalla mera logica economica e ridare all’urbanistica la propria dimensione pubblica, che rimetta al centro il benessere dei cittadini. Quelli che la città la vivono ogni giorno.