E così, si scopre l’acqua calda: che nei posti di lavoro le donne sono spesso vittime di molestie a sfondo sessuale. Magari non lo sanno nemmeno, magari il loro nome gira nelle chat-sfogatoio dei loro colleghi, tra insulti, fantasie, voti. Magari non sanno che, mentre cercano di fare bene, fare meglio, portare a casa il risultato, conciliare lavoro e famiglia per emergere e far carriera, di loro importa lo stacco di coscia e la taglia del reggiseno. Il loro corpo è alla mercé delle fantasie dei colleghi, dai capi agli stagisti. Creativi, sì, ma nell’ideare insulti e volgarità da far impallidire il Marchese De Sade.
La vicenda di We Are Social e del sessismo nelle agenzie di pubblicità milanesi fa schifo ma non stupisce. Sono sicura che ogni donna lavoratrice che abbia letto le testimonianze raccolte nelle ultime settimane non sia rimasta poi molto sorpresa. E probabilmente ha una storiaccia simile da raccontare. Di questo scandalo ci sono due cose che devono far riflettere. La prima, è che se questo è quello che è emerso, chissà quanto guano è rimasto nascosto e non c’è legge anti molestie che tenga. La seconda è ancora più sconfortante: nelle agenzie di comunicazione e pubblicità la maggior parte degli impiegati è donna, ma nei ruoli apicali ci sono quasi solo uomini. E questo, se permettete, fa ancora più schifo.