ANDREA SPINELLI
Cultura e Spettacoli

I Ministri e la faccia triste dell’aurora: "Cantiamo l’epoca dell’impotenza"

Il nuovo album presentato in Santeria: "Un Sol dell’avvenire di seconda mano. Come le utopie di oggi"

I Ministri:. Davide “Divi“ Autelitano, Federico Dragogna e Michele Esposito

I Ministri:. Davide “Divi“ Autelitano, Federico Dragogna e Michele Esposito

Tre anni dopo “Giuramenti” la strada dei Ministri è ripresa ieri sera in Santeria con la presentazione ai fan del nuovo album “Aurora popolare”; sei pezzi voce e chitarra, in dimensione “da spiaggia” rispetto a quella elettrica dei concerti abituali, giusto per offrire un primo assaggio di questo lavoro - ottavo capitolo del percorso discografico iniziato quasi vent’anni fa - che Federico Dragogna, Davide “Divi” Autelitano e Michele Esposito portano poi all’Alcatraz il 4 novembre.

Dragogna, definite questo album "un grido tra decadenza e rinascita". E mettete il Sol dell’Avvenire in copertina. Perché?

"Il nostro è un Sol dell’Avvenire acquistato al mercato dell’usato. Rispetto al film di Moretti, un’illusione di seconda mano, recuperata per evocare tempi in cui c’era chi credeva ancora di poter fare la rivoluzione, cullando sogni di cambiamento, di equità e di giustizia poi completamente dissolti. Basta buttare un occhio alla cronaca per chiedersi in che direzione possano mai guardare oggi generazioni defraudate pure dell’utopia. Ecco perché quello della nostra copertina è un sole freddo, lontano. E senza l’immagine di un Mao o qualche altro progressista davanti".

Verso quali galassie si prepara a volare l’astronauta dall’aria depressa che nel video di “Piangere al lavoro” si aggira con le sue disillusioni tra piazza Gae Aulenti e via Sarpi?

"Verso una galassia lontana in cui il rispetto del lavoro e del lavoratore rappresenti ancora una priorità, un valore che la nostra generazione non ha saputo conservare. Fatto evidente soprattutto in una città grande e attiva come Milano".

Più o meno alienante della provincia?

"Si tratta di alienazioni diverse. Ci sono piccole realtà in cui l’alienazione è scendere da casa e rinchiudersi in un bar davanti ad un Campari alle 10 di mattina. E lo dico per esperienza diretta, da padre divorziato andato a vivere in provincia. L’alienazione di Milano nasce, a mio avviso, dal volatilizzarsi delle speranze, dal rimpianto per quel che avrebbe potuto essere e non è stato. Quelle che in tanti avevamo riposto, ad esempio, nell’esperienza a Palazzo Marino di Giuliano Pisapia, tramontata assieme alla grande occasione di cambiamento che si portava dietro".

Questa vostra aurora po(po)lare è boreale o australe? Fuor di metafora, lo sguardo sociale sul mondo dell’album è rivolto più a Nord o a Sud?

"A Nord, perché apparteniamo a questa parte di mondo. Al di là del fatto che l’aurora è già di suo un tramonto, è ad Occidente che tramonta il sole. Quindi la metafora viene facile. “Aurora popolare“ è un disco che parla di una rabbia perduta e che quindi non ha nulla da spartire con quella vissuta in tanti Sud del mondo; un sentimento politico lontano dalle divisioni fra destra e sinistra. Da ritrovare, magari, in quei pochi momenti di collettività che l’oggi ancora di offre. La manifestazione a Genova contro la guerra di tre settimane fa, tanto per fare un esempio".

Cos’è che turba di più in questo momento la vostra “vita Barilla”, come la chiamate in “Buuum”, col pensiero a nonnetti premurosi e mulini bianchi?

"L’impotenza. Davanti a quasi tutto. A cominciare dalle sofferenze che cattivi da fumetto infliggono ad intere popolazioni, davanti a cui sembrano non esserci argini di alcun tipo. Ecco, credo che l’impotenza rappresenti oggi un sentimento capace oggi di aggregare più della rabbia".