
La “Carmen “ di Georges Bizet, in calendario alla Scala con scenografie di Ezio Frigerio
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Milano - La sua vita è ancora lì. In cima alla torre di libri sul comodino. Con quel titolo scritto da un bimbo in corsivo, come fosse il sussidiario delle elementari: "Io sono un mago". Solo pochi mesi fa Ezio Frigerio aveva infatti voluto raccontare la sua storia lunga un secolo per Baldini + Castoldi, muovendosi a passi rapidi fra i ricordi. Ci si era sentiti per parlarne con un po’ di calma, provare a tirare le fila di un’esistenza dedicata alla scenografia e al teatro, in giro per mezzo mondo. Ma con l’ampia, solidissima parentesi milanese al fianco di Giorgio Strehler.
«Mi fece debuttare al Piccolo come costumista – raccontava –, fregandomi così per il resto della vita. Fui spinto nella voragine del teatro, arte incredibile che ti sprofonda in un abisso per poi ributtarti nel mondo in sella a un ciclone. Però il ruolo mi stava stretto, io volevo fare lo scenografo. Provai a fuggire a Roma, anche se il cinema non mi interessava particolarmente, la mia dimensione era il palcoscenico. Un bel giorno mi telefonò Strehler dicendomi: "Io sono il teatro, tu sei il teatro. Devi venire da me". E io ci tornai...".
Nasce così uno dei legami artistici più potenti della Milano teatrale. Al cuore di una carriera lunga 550 spettacoli, senza contare le escursioni su grande schermo, forse poco amato ma con titoli importanti: "Ieri, oggi, domani" di De Sica, "Novecento" per Bertolucci, il Cyrano di Jean-Paul Rappenau, per cui ottiene la nomination all’Oscar. Eredità imponente quella che ci lascia Ezio Frigerio, scomparso ieri a 91 anni. Nel suo sguardo s’incrociavano eleganza, cura del dettaglio, rigore. Ma anche la visionarietà affamata, di chi cerca ogni volta di spostarsi un passettino più avanti.
Al Piccolo firma (fra gli altri) il Lear, "L’opera da tre soldi", "La Trilogia della Villeggiatura". Mentre alla Scala arrivano capolavori come il "Lohengrin", con quelle colonne matte, in grado di muoversi neanche fossero divinità antiche. O "Le nozze di Figaro" nato in Francia nel 1973/74, dove il confronto con la tradizione si risolve nella costruzione sul palco di una vera e propria casa. I francesi impazziscono.
Infinite le collaborazioni: da Liliana Cavani a Lluis Pasqual, da Andrej Koncalovskij a Graham Vick, Luca Ronconi, Rudolf Nureyev. "Una figura cardine della cultura italiana del Novecento", scrivono oggi dalla Scala, dove ha realizzato complessivamente 32 produzioni, firmando ben sette aperture di stagione. Mentre al Piccolo ricordano il lavoro a fianco della compagna Franca Squarciapino, con cui "ha messo la propria sensibilità e creatività al servizio dell’arte, regalandoci un mondo di luminosa meraviglia, un fulgido, irripetibile sogno".
Già, il sogno. Orizzonte da Mago. Vasto e mutevole. Proprio come quel mare amatissimo. Dove si era fatto le ossa da allievo ufficiale. Per poi lasciarsi sedurre dall’astrattismo di Mario Radice. E dal teatro. "Ero giovane ed ero belloccio in divisa. Ma devo ammettere che ero un marinaio mediocre, meglio come scenografo…". Addio Mago.