
Piero Pelù con la moglie
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Storia di P. «Spacca l’infinito e rubagli un minuto al mondo, mondo / Per fare un castello volante / Con la fantasia di un bambino… gigante" cantava Piero Pelù a Sanremo lo scorso anno. E il suo castello rock il "diablo" se lo costruisce domani sul palco del Brescia Summer Music all’Arena Campo Marte, per poi spostarlo giovedì su quello del Carroponte di Sesto San Giovanni. Tutto in compagnia di quei Bandidos capitanati dalla chitarra di Alessandro "Finaz" Finazzo (Bandarbardò) e, qua e là, dai vincitori del concorso per band, cantanti, artisti visivi, poeti, indetto da nonno Piero durante il lockdown. In ogni tappa ci sono pure i ragazzi di Fridays for Future, per ribadire su e giù dal palco che quello ambientalista è il primo dei messaggi.
Pelù, che scherzaccio ci ha giocato la Pelloni. Lei ha detto di volerla omaggiare in questo tour dedicandole ogni sera l’invito allo «scapezzolamento» che rivolge alle ragazze durante «Regina di cuori». Pensa che, da lassù, apprezzerà?
"La Raffina ci ha stupiti tutti ancora una volta. Oltre all’intelligenza, alla simpatia, alla sensualità, ricordo la sua infinita dolcezza. Non conosco la malattia che se l’è presa, ma di sicuro fumava come un camionista turco. Diceva di non poterne fare a meno, di non avere altri vizi, e quindi di essere indulgenti almeno su questo. Le rispondevo: fa’ un po’ te, ma ogni tanto fumati almeno due canne…".
La Carrà è stata dolce pure col pubblico, celando la malattia.
"Ne parlavo proprio qualche giorno fa con mia moglie Gianna. Si sa da anni che Zubin Mehta è malato, ma lui s’è potuto permettere di raccontarlo perché, nel caso di un direttore d’orchestra, ‘riflettori accesi’ significa salire sul podio e dirigere. Per una star televisiva, invece, significa dover alimentare la tv del dolore (o presunto tale). E la cosa si fa patetica. Siccome lei, Boncompagni e Arbore, la tv moderna l’hanno inventata, Raffa ha fatto la scelta più rispettosa, sollevando un intero Paese dall’angoscia di saperla malata".
Il personaggio amato deve sempre essere al 100% .
"La popolarità ti costringe ad essere (almeno negli intenti) sempre giovane e sempre in forma, ma tutta questa pressione ha un suo lato positivo perché diventa lo stimolo a volerti bene e a non mollare. Pensi ai fans, al fatto che per loro sei una specie di Dorian Gray, lo specchio di ciò che vorrebbero essere, e sai di non poterli deludere".
…soprattutto in tour.
"Esatto. Mai e poi mai avrei pensato di dover suonare in una situazione come questa. A costo di passare per moralista bacchettone dico, però, che in giro certi rave sono una vergogna; certi abusi del divertimento mi fanno inca**are perché riguardano proprio quella fascia di popolazione che non è ancora immunizzata. E queste ‘libertà’ le pagheremo poi tutti".
Lei com’è messo?
"Vaccinatissimo. Tra concerti, firmacopie del disco e di ‘Spacca l’infinito’, il mio ultimo romanzo, di persone ne incontrerò molte, ma con un buon livello di sicurezza per me e per loro. Pure la scaletta del concerto l’ho studiata tenendo conto delle esigenze del periodo, immaginandomi blocchi di quattro brani che ad ondate passano dalla ballata, al pezzo medio, a quello medio veloce, a quello veloce, per poi ripartire dalla ballata". Pensa di aver contribuito al flusso che, un anno dopo la sua partecipazione a Sanremo, ha decretato il trionfo dei Måneskin? "Non lo escluderei. Portare in quel contesto un pezzo con tante chitarre è stato motivo di orgoglio. Anche se i Måneskin sono un’entità capace di andare al di là di ogni interpretazione, di ogni previsione, di ogni sogno possibile e immaginabile. I loro testi sono nella nostra lingua e la cosa m’inorgoglisce, perché mi ritengo un alfiere del cantare in italiano; pure nei Litfiba c’era chi pensava che fosse meglio farlo in inglese, ma su questo ho sempre tenuto duro".