GIAMBATTISTA ANASTASIO
Cronaca

Il racconto del macchinista ai colleghi: "Ho lasciato il treno acceso e frenato"

Il locomotore quindi avrebbe dovuto dialogare con il sistema di controllo da remoto. Così non è stato

Treno deragliato a Carnate

Milano, 22 agosto 2020 - La versione del macchinista di Trenord che mercoledì era alla guida del treno deragliato su un binario tronco della stazione di Carnate (Monza) diverge dalle ricostruzioni fatte finora in due punti, entrambi qualificanti. Divergenze che qualora dovessero essere confermate dalle indagini della procura di Monza e della Polfer, aprirebbero ulteriori interrogativi su quanto avvenuto lungo i 7 chilometri di strada ferrata che separano Paderno d’Adda (Lecco) da Carnate. Il primo punto che diverge con quanto appreso finora è che il macchinista sostiene di aver lasciato il convoglio «abilitato», vale a dire: acceso. Quanto al secondo, il macchinista sostiene di averlo lasciato in modalità parking, di aver attivato i freni di stazionamento che avrebbero dovuto consentire al treno di rimanere fermo sui binari. Una versione, quella qui riportata, che il macchinista ha riferito a suoi colleghi che ricoprono incarichi sindacali. 

Arrivato alla stazione di Carnate, il macchinista avrebbe seguito le procedure di sempre: frenatura a fondo e giro di chiavi. Detto altrimenti: dopo aver arrestato il treno, ha rimosso dal cruscotto due delle tre chiavi inserite durante la marcia e le ha reinserite in un pannello presente nella cabina di guida in modo da poter sbloccare e prendere con sé altre due chiavi, fino a quel momento inserite nello stesso pannello, che, una volta scoccata l’ora, avrebbe poi usato, insieme a quella fin qui lasciata nel cruscotto, per far ripartire il treno nel senso opposto a quello d’arrivo. Secondo quanto raccontato ai colleghi, il macchinista sarebbe sceso dal convoglio con tre chiavi in mano, un fatto che starebbe a testimoniare il rispetto di tutte le procedure che devono essere seguite quando il treno viene lasciato in sosta sui binari. Procedure che, sottolineano i colleghi, «un qualsiasi macchinista fa ogni giorno più volte al giorno» e che non prevedono che il treno sia «disabilitato», vale a dire «spento», perché i tempi di riabilitazione del convoglio non sono compatibili con le tabelle di marcia. Secondo quanto riferito dai colleghi del macchinista, occorrono dai 30 ai 45 minuti per riabilitare un treno una volta che lo si è “spento”. E quindi nessun macchinista lo disabilita per non rischiare di non poter ripartire all’orario fissato.

Possibile, allora, che il treno si sia spento perché il macchinista ha commesso qualche errore nella procedura della frenatura e del giro di chiavi? Se così fosse, replicano i colleghi macchinisti, alla stazione di Paderno d’Adda si sarebbe dovuto sentire «un boato» provocato dall’improvvisa caduta della linea aerea, che gira a 3mila Volt. Fino ad oggi nessuno ha però riferito una simile circostanza. L’ipotesi alternativa è, allora, quella di un malfunzionamento dell’impianto frenante del convoglio che ha vanificato la corretta esecuzione delle procedure di blocco. Ma se la versione del macchinista dovesse essere confermata, c’è da capire perché il sistema di sicurezza capace di rallentare e arrestare la corsa dei treni da remoto, attraverso una serie di boe disposte sui binari, non sia riuscito a dialogare col treno, nonostante questo fosse acceso, e a fermarne la marcia senza che fosse necessario deviarlo e farlo deragliare. Per ora l’unica certezza è che se macchinista e capotreno fossero rimasti accanto al treno, come prevede il regolamento, avrebbero potuto intervenire tempestivamente ed evitare che percoresse 7 chilometri in totale autonomia.