
Ricercatori studiano il "respiro dei monti"
Zelbio (Como), 1 ottobre 2015 - Il mondo della speleologia è in fermento dopo i risultati di una ricerca effettuata nelle viscere del Triangolo Lariano. La conferma arriva da alcuni «nasi elettronici» che i ricercatori hanno installato nei mesi scorsi: quella che si estende nel sottosuolo fra il monte Palanzone e il San Primo potrebbe essere una delle aree carsiche più estese del mondo. Erano attesi con grande trepidazione dagli speleologi i risultati di una ricerca all’avanguardia che, nei mesi scorsi, ha visto impegnati sulle cime del Triangolo Lariano decine di ricercatori. Ora grazie ai dati forniti potrebbe scattare una corsa all’esplorazione. È più o meno quello che sta già succedendo, in alcune grotte, come quella chiamata Andromeda, dopo gli esiti della ricerca. «C’è qualcosa di sorprendente in quello che abbiamo scoperto - commenta Maurizio Miragoli, uno dei protagonisti dell’esperimento insieme alla Federazione speleologica lombarda -. C’è un mondo lì sotto: un’unica grotta che andrebbe dalla cima del Palanzone (Bul, Guglielmo) fino alla cima del San Primo (Terzo mondo). Fino ad oggi sono stati esplorati 60 chilometri di grotte lì sotto. Ma stiamo parlando di quattro volte tanto: stimiamo che siano circa 240 i chilometri di estensione per 1.400 metri di dislivello. Da quota 1.600 del San Primo fino al lago. Potrebbe essere una delle aree carsiche più vaste del mondo. Le potenzialità sono gigantesche».
L’esperimento era partito l’inverno scorso. I ricercatori erano a caccia di quello che fu definito il «respiro del monti». Un ambizioso progetto per sviluppare una mappa dettagliata di quello che si nasconde nel sottosuolo fra il San Primo, il Pian del Tivano e il Palanzone, fra i due rami del lago di Como. Per farlo è stata cavalcata una nuova, e al tempo stesso antica, frontiera della speleologia che insegue l’aria che spira nelle grotte con tecnologie studiate appositamente e provate lì per la prima volta al mondo.
«Ci siamo caricati di liquidi volatili e profumatissimi, abbiamo raggiunto le grotte alla base delle montagne, per lo più sorgenti o una volta tali e abbiamo liberato i vapori. Siamo andati poi a rintracciarli, catturando gli odori all’uscita, in giro per i monti dopo che avevano percorso molti chilometri - continua Miragoli -. Abbiamo posizionato i rilevatori alle uscite e i profumi alle entrate di alcune grotte. Sono una trentina quelle interessate dall’esperimento, (fra queste c’è quella della Niccolina, Buco del Latte, Grotta Guglielmo, Fornitori) in un’area che ne contiene una settantina».
Nel loro viaggio i «profumi» hanno tracciato la mappa di quello che c’è nel sottosuolo. Non è stato un lavoro facile, soprattutto durante l’inverno scorso, con la neve che nascondeva gli ingressi delle grotte e il rischio di valanghe. Dopo che sono state indicate le grotte nelle quali concentrare l’esplorazione si è sollevate l’interesse degli speleologi che da molti anni avevano già intuito il grosso potenziale di quell’area dove era già stata scoperta la grotta più lunga d’Italia. federico.magni@ilgiorno.net