
Alberto Brivio
Carugo (Como), 23 luglio 2018 - «Brivio appare quasi come l’ultimo "giapponese" che non si è accorto che la guerra è finita, asserragliato nel fortino di una linea difensiva che ormai si è sgretolata, visto che gli altri imputati hanno tutti alzato bandiera bianca, arrendendosi alle evidenze emerse dalle indagini». Metafora centrale nelle argomentazioni con cui i giudici della Corte d’Assise di Como, presidente Valeria Costi, a latere Walter Lietti, motivano la condanna all’ergastolo inflitta lo scorso 20 aprile ad Alberto Brivio, commercialista di 50 anni di Inverigo, ritenuto il mandante dell’omicidio di Alfio Molteni. L’architetto era stato ucciso a 58 anni la sera del 14 ottobre 2015, davanti alla sua abitazione di Carugo. A esplodere quei due colpi di pistola, in cambio di qualche migliaio di euro, sarebbe stato Vincenzo Scovazzo, 60 anni di Cesano Maderno, anche lui condannato all’ergastolo.
Sono gli unici due imputati ad aver scelto il dibattimento>, rigettando ogni accusa di responsabilità, in un’indagine molto articolata e partita dalla figura della moglie della vittima, Daniela Rho, 47 anni, con cui Brivio aveva una relazione, condannata a 20 anni con rito abbreviato. La donna ha ammesso che quegli atti intimidatori durati mesi, e culminati con l’esplosione dei colpi di pistola, avevano lo scopo di impaurire il marito. «In pratica – prosegue la sentenza - Brivio ha continuato a negare fermamente qualsiasi "riconducibilità". La conseguenza di una tale dissennata strategia processuale, peraltro unica fra tutti i coimputati, è che Brivio è stato costretto a dare spiegazioni assolutamente inverosimili, e ciò non solo perché la sua narrazione contrasta radicalmente con quanto emerso in istruttoria, ma ancora prima con elementari principi di logica».
Differente è la valutazione della condotta processuale di Scovazzo «che quantomeno – affermano i giudici - ha scelto di non sottoporsi all’esame, evitando di fornire una diversa ricostruzione dei fatti». Ma su Brivio le motivazioni non risparmiano ulteriori commenti: «La circostanza che la Rho riconduca tali contatti ai fatti oggetto di imputazione, deriverebbe unicamente dalla sua volontà calunniosa, di una donna presa in giro. Si vede bene come questa tesi assume toni da teatro dell’assurdo… Ma la contraddittoria logica della versione di Brivio è macroscopica nella parte in cui spiega la chiamata in correità della Rho come la calunnia di una donna innamorata delusa, che non aveva alla fine voluto sposare. Egli sembra dimenticare che la Rho, oltre ad accusare l’imputato, ha ammesso anche la sua responsabilità».