
Ombretta Giacomazzi testimone al processo contro Roberto Zorzi, accusato di aver messo la bomba in piazza Loggia
Brescia, 13 maggio 2025 – È stata sotto torchio oltre sei ore, al centro di una raffica di domande dell’avvocato Stefano Casali, che assiste Roberto Zorzi, accusato di aver messo la bomba in piazza Loggia.
La ragazza della pizzeria Ariston Ombretta Giacomazzi, che nel 1974 aveva 16 anni e nel suo locale assisteva agli incontri dei neofascisti bresciani e veronesi a cui l’accusa imputa la strage, ha ribadito il travaglio che l’ha portata a dire la verità per la prima volta solo al colonnello del Ros Massimo Giraudo. A tappe, in oltre 40 audizioni, dal 2015: “Ho sempre avuto paura a parlare perché io c’ero, avevo visto certi fatti e li avevo sulla coscienza. Ho parlato solo quando sono stata sicura di potermi fidare”.
La difesa ha provato a mettere sotto scacco la superteste, nel 1974 fidanzata del “nero“ Silvio Ferrari, con cui a suo dire si recava a Verona, nella caserma dei carabinieri di Parona, dove si pianificò l’attentato al Blue Note. Un attentato di cui era stato incaricato Ferrari, che aveva però deciso di tirarsi indietro e la notte del 19 maggio saltò per aria in piazza Mercato, dilaniato dalla bomba che portava in Vespa. Qualche non ricordo, qualche sbavatura, ma Giacomazzi sui “fondamentali“ non ha vacillato. Casali, rispolverando stralci dei suoi diari da sedicenne, le ha chiesto conto dei nomi maschili presenti, adombrando la possibilità di più relazioni contemporanee, facendo saltare sulla sedia i legali di parte civile che hanno stigmatizzato “i tentativi di screditamento”.
Allusioni però smentite dalla donna: “erano solo fantasie di una ragazzina”. Giacomazzi la scorsa udienza aveva fatto presente che, dei diari sequestrati nel ’74, non le furono mai restituiti quelli in cui aveva segnato gli spostamenti con Silvio a Parona, a Palazzo Carli, nella mansarda di via Aleardi, luoghi cruciali del procedimento in cui il presidente della corte Roberto Spanò vorrebbe fare un sopralluogo. Ma la difesa Zorzi ha ritrovato un verbale di restituzione dei diari alla madre della ragazza.
Nelle sue parole sono tornate le “pressioni“ dell’ex capitano dei carabinieri Francesco Delfino, che a sentir lei la indusse a fare i nomi di molti innocenti incarcerandola e scarcerandola a piacimento, con la minaccia di incriminarla per strage. Pressioni le avrebbe subite anche da Nando Ferrari, allora referente del Fronte della gioventù di Brescia, con cui Silvio la sera della morte litigò.
“Nei giorni seguenti Nando mi avvertì di non parlare della Dyane (auto utilizzata, tra gli altri, da Roberto Zorzi, ndr) e dei veronesi. La paura mi venne più avanti, quando mise sotto anche Mario Labolani, un suo amico fidato, che mi avvicinò per dirmi di non fare l’infame e tenere la bocca chiusa”. Furono le pressioni subite (“Delfino pressava persino i magistrati”) a spingerla a fare i nomi, tra gli altri, di Andrea Arcai, il figlio del giudice (“Nemmeno lo conoscevo”) e di Arturo Gussago, con cui aveva avuto un flirt.