Brescia, omicidio Bozzoli. La difesa: "Il nipote Giacomo va assolto". Ecco perché

Domani la sentenza, il nipote è l'unico imputato dell'omicidio dello zio Mario Bozzoli, aggravato dalla premeditazione e dalla distruzione del cadavere

Da sinistra Giacomo Bozzoli con i suoi legali dello studio Frattini

Da sinistra Giacomo Bozzoli con i suoi legali dello studio Frattini

Brescia, 29 settembre 2022 - Giacomo Bozzoli va assolto, per lui assoluzione piena: perché il fatto non sussiste o per non avere commesso "alcuno dei fatti contestati". Domani sarà il giorno della sentenza. Oggi è stata la difesa al centro dell'ultima udienza al processo, in Corte d'Assise a Brescia, per il grande enigma di Marcheno, iniziato la sera dell'8 ottobre 2015, quando l'imprenditore Mario Bozzoli, titolare insieme con il fratello maggiore della fonderia di famiglia, svanisce nel nulla per non ricomparire mai più. Giacomo Bozzoli, uno dei due figli di Adelio, unico imputato dell'omicidio dello zio aggravato dalla premeditazione e della distruzione del cadavere, ha sempre respinto ogni accusa. 

La difesa: "Assoluta mancanza di prove"

"Prima come cittadino italiano - è l'esordio del difensore Luigi Frattini - e poi come avvocato chiedo come si possa condannare all'ergastolo una persona, oltretutto incensurata, che ha trascorso sette anni infernali additata come colpevole. Il processo si è chiuso nell'assoluta mancanza di prove. Anzi, in presenza di prove, a mio parere evidenti, che dimostrano l'innocenza del povero Giacomo Bozzoli". Il penalista bresciano ripercorre quella serata di ottobre. Alle 19.12 Mario Bozzoli chiama la moglie avvertendola che avrebbe fatto la doccia, che si sarebbe attardato in fabbrica ancora per un po' e che avrebbe avuto un impegno. Sono solo le 22 quando Irene Zubani chiama il figlio minore, a Brescia, per avvertirlo che il cellulare del marito è spento e chiedergli di recarsi a Marcheno.

La ricostruzione

Nella fabbrica di via Ghitti sono presenti Giacomo Bozzoli, il fratello Alex, gli operai Giuseppe Ghirardini (che sparirà sei giorni dopo e verrà ritrovato morto, avvelenato da una capsula di cianuro), Oscar Maggi e Aboagye Akwasi, un dipendente senegalese detto Abu. Per il difensore è inverosimile pensare che Mario volesse intrattenersi con uno di questi. "Se Mario aveva un impegno non era per dare una direttiva ai dipendenti o ai nipoti. Ragionevole pensare che il suo programma fosse quello di uscire dalla sede della società per incontrare qualcuno o qualcuna, una donna". Idea, quest'ultima, suggerita da una dichiarazione di Oscar Maggi, secondo cui Mario era "un separato in casa". La difesa parla di "una lacuna totale delle indagini sui rapporti extra lavoro di Mario Bozzoli. Non hanno pensato che quando scompare un imprenditore è logico chiedersi con chi avesse rapporti".

Il fulcro della difesa

Per la difesa non esiste alcuna prova che l'imprenditore sia stato ucciso nella fabbrica di famiglia di via Ghitti, la sera dell'8 ottobre 2015. Non solo: manca ogni prova che nella fonderia sia avvenuto un omicidio. Quella sera era in turno anche Giuseppe Ghirardini. Secondo l'accusa il suo è stato "suicidio parlante", il gesto disperato di un uomo schiacciato dal rimorso e oppresso dalla paura per quello che aveva fatto, cioè avere in qualche modo aiutato Giacomo. La difesa contrattacca: "L'ultima tesi del pubblico ministero è che che Giacomo uccide lo zio nella fonderia e consegna il corpo a Ghirardini perché metta il corpo nel forno grande". Questo provoca una fumata bianca, anomala dal forno: sono le 19.18. "Dove è avvenuta l'aggressione? Sul pavimento della fonderia c'era polvere e unto, ma non sono rimaste tracce di sangue, di un'aggressione, del trascinamento di un corpo".

Il forno, il muletto, le telecamere

Una persona in posizione eretta, tanto più un uomo alto e prestante come Mario Bozzoli, non sarebbe mai potuta entrare nel forno. Sarebbe stato possibile solo trascinato dal nastro trasportatore, dove, però, non sono rimasti impressi né sangue né tracce biologiche. Se in seguito fossero stati introdotti nel forno altri rottami, il corpo sarebe stato spinto nella parte dove avveniva la fusione. Allora il corpo sarebbe scoppiato e anche il forno. Invece Mario è vivo anche dopo che dal forno grande gestito da Ghirardini si è sprigionata la fumata delle 19.18. C'è la prova che non è stato messo nel forno. Alle 19.19, un minuto dopo, Mario esce alla guida del muletto dal magazzino dei pani e viene ripreso dalla telecamera 1, girevole. Il difensore mostra in aula alcuni fermo immagine delle 19.19 e colloca tutti i presenti: anche se non si vede il volto, l'uomo sul muletto può essere soltanto Mario Bozzoli. Lo diranno la mattina del 9 ottobre anche gli operai al lavoro la sera prima e non si può certo pensare, visti i tempi così ravvicinati, a un concerto comune. 

"Era in vita dopo la fumata anomala"

"Sia Bontacchio (un autista - ndr) - incalza Frattini - che Alex Bozzoli hanno inoltre dichiarato di avere visto varie volte Mario entrare e uscire dal magazzino dei pani. Qualunque cosa sia successa a Mario Bozzoli, non può essere quindi addebitata a Giacomo. Mario Bozzoli guidava il muletto e questa è la prova che era in vita dopo la fumata anomala". L'operaio Abu ha testimoniato di avere incrociato il suo principale intorno alle 19.30 avviarsi verso gli spogliatoi. Verso le 22 Abu era nell'area forni e riferiva che l'auto di Mario era ancora parcheggiata, cosa che gli era sembrata strana. "Perché - incalza Frattini - dovrebbe dire il falso?" Alle 19.33 Giacomo esce con la sua auto. Come avrebbe potuto Giacom o aggredire Mario, ucciderlo, in meno di tre minuti? E dove?". I passi di Giacomo Bozzoli all'interno della fabbrica. Il suo cellulare ne registra 342. Se fosse entrato nella fonderia sarebbero stati molti di più.

Le repliche

"Quella dell'amante misteriosa di Mario - dice l'avvocato Vanni Barzellotti, legale di parte civile per la moglie dell'imprenditore e i figli Claudio e Giuseppe, tutti presenti in aula  - appare una cosa incredibile, lontana ogni spiegazione logica e umana. Uno va a un appuntamento in abiti da lavoro, a piedi, senza farsi una doccia. E poi, ammesso che l'incontro sia avvenuto, cosa ne è stato di Mario? Sarebbe rientrato. Invece si è dissolto nel nulla, senza un lira, senza documenti". "E' stato un processo lungo, impegnativo". Sono le 15 quando il presidente Roberto Spanò mette la clausola finale al dibattimento iniziato il 14 gennaio 2021. La Corte si ritira in una "sede istituzionale" per la camera di consiglio.