Giallo di Marcheno, il pm rilancia: altre indagini sulla fine di Ghirardini

Per l’operaio trovato cadavere necessari approfondimenti medico-legali di GABRIELE MORONI

Indagini nella fonderia di Marcheno (Fotolive)

Indagini nella fonderia di Marcheno (Fotolive)

Marcheno, 18 aprile 2016 - Per chi indaga non ci sono dubbi. L’imprenditore Mario Bozzoli è stato ucciso nella sua fonderia la sera dell’8 ottobre dello scorso anno e il suo corpo gettato in uno dei due forni in attività. Il suo dipendente Giuseppe Ghirardini si è suicidato avvelenandosi con il cianuro. Entrambe le facce del doppio giallo della Valtrompia sono prive, a oggi, di prove. Sulla fine di Ghirardini la Procura di Brescia “rilancia” per nuovi accertamenti. Alla scadenza dei sei mesi delle indagini per istigazione al suicidio a opera di ignoti, il sostituto procuratore Alberto Rossi ha chiesto una proroga al gip: altri sei mesi. Questo perché, una volta “rilevato che le indagini preliminari non potranno concludersi entro il termine di scadenza, fissato per il 19 aprile 2016 (domani - ndr)”, sono “necessari ulteriori approfondimenti medico-legali, finalizzati a verificare se l’ingestione di cianuro che ha cagionato la morte di Ghirardini Giuseppe sia stata volontaria oppure il frutto di induzione o costrizione ad opera di terzi”.

Potrebbe avere avuto un peso anche l’iniziativa dell’avvocato milanese Sebastiano Lorenzo Sartori, che tutela Natalina, una delle sorelle di Ghirardini. I familiari non hanno mai creduto al suicidio. La richiesta del loro legale è quella di analizzare i tessuti degli organi del morto per verificare se vi siano tracce di sostanze anestetizzanti, ipnoinducenti, droganti. Ci si chiede se Ghirardini, nel pomeriggio di quella domenica 18 ottobre, era lucido oppure in stato di semi-incoscienza, perché sedato, drogato, intontito da un sonnifero. L’impiego di anestetizzanti potrebbe avere aiutato non poco l’“incannullamento” da parte di terzi della capsula di cianuro, lunga 4 centimetri, rinvenuta intatta nello stomaco di Ghirardini. L’altra è stata trovata infranta (tre frammenti accanto al corpo), ma un uomo non più padrone di sé, potrebbe essere stato forzato ad ingerire anche questa. Il consulente medico dell’avvocato Sartori, il professor Giancarlo Paganoni, non ha escluso, in termini ipotetici, l’utilizzo di anestetici o sostanze droganti per favorire l’ingestione delle capsule di cianuro. Gli inquirenti non escludono l’ipotesi che qualcuno possa avere fatto pressing psicologico sull’operaio, forse impaurito, forse in preda a un rimorso, ma nulla porta a pensare che quella di morire non sia stata una decisione di Beppe Ghirardini.

Una prova scientifica mai affiorata. Intercettazioni telefoniche senza esito. Sei mesi di indagini costanti, tenaci, estese anche oltre il perimetro e i personaggi della fonderia, sarebbero condensate in una informativa dei carabinieri trasmessa in questi giorni alla Procura. La tenue speranza di riannodare il filo dell’allucinante smaterializzazione di Mario Bozzoli parrebbe essere legata agli accertamenti del Ris di Parma e alle ricerche che l’antropologa forense Cristina Cattaneo sta svolgendo sull’immane massa di scorie di lavorazione trasferite in una caserma dell’esercito a Milano. Sono iscritti nel registro degli indagati per omicidio volontario e distruzione di cadavere i nipoti di Bozzoli, Alex e Giacomo, da tempo in dissidio con lo zio, gli operai Oscar Maggi e il senegalese Aboagye Akwasi, detto Abu, presenti in fabbrica in quella serata maledetta. Anche Giuseppe Ghirardini era al lavoro. E gli investigatori non hanno mai nascosto che se fosse vivo oggi sarebbe indagato come gli altri.