
Daniela Bani
Palazzolo sull’Oglio (Brescia) – La casa di Giusy Ghilardi e del marito è piena di foto della figlia, Daniela Bani, ammazzata il 20 settembre 2014 dal marito Mootaz Chaambi a Palazzolo Sull’Oglio, nel Bresciano. Da quel giorno di quasi 11 anni fa i nonni materni si stanno prendendo cura dei nipoti: il più grande, che ha da poco compiuto 18 anni, si trovava in casa quando la mamma è stata uccisa a coltellate dall’uomo, che poi è fuggito in Tunisia, è stato arrestato e ora sta scontando una condanna a 30 anni.
La loro è una battaglia quotidiana, combattuta accanto a bambini divenuti adolescenti che per tutta la vita porteranno un peso sulle spalle. “Servirebbero più tutele per i figli delle vittime e per i loro parenti – spiega Paola Radaelli, presidente dell’Unione Nazionale Vittime, associazione che si batte da anni su questo fronte –. Gli indennizzi che abbiamo ottenuto, pur necessari, non bastano. Servirebbe una rete di sostegno più efficiente e anche un impegno per la prevenzione. Chi chiude gli occhi su alcuni episodi, e non denuncia, per noi è complice”.

Giusy Ghilardi, a Settala l’ennesimo femminicidio, anche in questo caso commesso mentre la figlia si trovava in casa.
“Continuo a pensarci, ogni volta che accade mi sembra di rivivere la nostra storia. Trascorrono gli anni e non cambia niente. Le donne, come nostra figlia, continuano a essere uccise. E i loro figli, come i nostri nipoti, restano segnati per sempre”.
Dal 2014 vi state prendendo cura di loro. Come è stato questo percorso?
“Quando nostra figlia è stata uccisa per noi è stato naturale accoglierli, sono tutto quello che ci resta. Abbiamo cercato di proteggerli, crescerli senza insegnargli l’odio e la rabbia. È difficile, perché ogni giorno io mi auguro che l’assassino di nostra figlia soffra quello che ha sofferto lei: Daniela ha fatto una fine che non riesco neanche a descrivere. Il più grande frequenta l’istituto turistico e nel frattempo lavora nella ristorazione. Il più piccolo va a scuola, ha 14 anni. Sono entrambi in un’età difficile, e noi siamo nonni che da un giorno all’altro hanno assunto il ruolo di genitori. Abbiamo più di 70 anni, e speriamo di riuscire a stargli accanto fino a quando avranno ottenuto la loro indipendenza. Hanno entrambi piena consapevolezza di quello che è successo, ma ovviamente non ne parlano tutti i giorni. Stanno cercando di costruirsi una vita”.
Avete ricevuto tutele da parte delle istituzioni?
“Dopo tanti anni siamo riusciti a ottenere gli indennizzi dello Stato, che abbiamo accantonato per il loro futuro. Nel nostro caso si sono subito attivati i servizi sociali del Comune e l’Ats, abbiamo ricevuto assistenza psicologica e supporto. Una rete che però, in tanti casi, è assente”.
In questi anni il padre ha cercato di contattare i figli?
“Non direttamente, ma so che attraverso altre persone ha cercato di raccogliere informazioni. Deve stare alla larga dalla nostra famiglia, perché ha già provocato troppo male. Il nostro dolore non passerà mai, ogni anno riaffiora più forte di prima”.