
Via Mologno 45, nel riquadro il tunisino Chaanbi Mootaz
Palazzolo (Brescia), 10 giugno 2019 - Le prime telefonate sono arrivate lo scorso aprile. Sullo schermo del telefono, sotto il numero, l’indicazione del Paese di provenienza: la Tunisia. La persona che chiama rimane in silenzio per qualche istante. Poi riattacca. Episodi inquietanti che aggiungono altri misteri in una complessa vicenda giudiziaria che venerdì prossimo approderà davanti alla Corte di Cassazione: l’ultimo grado di giudizio per il 38enne tunisino Chaanbi Mootaz, condannato a 30 anni di carcere in primo grado e in appello per l’omicidio della moglie, Daniela Bani, a Palazzolo sull’Oglio, nel Bresciano. A ricevere la serie di telefonate anonime è stata Paola Radaelli, presidente dell’Unione Nazionale Vittime, associazione che assiste i familiari della donna ammazzata il 22 settembre del 2014 con 37 coltellate, mentre uno dei due figli della coppia si trovava in casa.
«Tra aprile e maggio ci sono state sei telefonate - racconta - sempre da numeri diversi ma tutti con l’indicazione della Tunisia come Paese d’origine della chiamata. Abbiamo sporto denuncia, anche perché queste telefonate si sono fatte più frequenti con l’avvicinarsi della data dell’udienza in Cassazione». Squilli anonimi dalla Tunisia arrivavano, quando l’omicida era ancora a piede libero, anche alla madre di Daniela Bani, Giuseppina Ghilardi, e all’avvocato Silvia Lancini, che in passato ha assistito la famiglia. «Noi non ci facciamo intimidire - sottolinea Radaelli - e venerdì ci riuniremo in presidio davanti alla Corte di Cassazione, perché la famiglia ha il diritto di ottenere giustizia». Fuggito all’estero dopo il delitto a Palazzolo sull’Oglio, nel Bresciano, Mootaz è riuscito a evitare il carcere per quattro anni e mezzo, sfruttando burocrazia e un vuoto diplomatico, con decine di appelli alla politica finiti nel nulla. Una beffa per i familiari, anche perché il 38enne continuava a scrivere sul suo profilo Facebook, pubblicando foto dei figli.
Il mandato di arresto internazionale emesso nei suoi confronti è rimasto lettera morta fino allo scorso febbraio, quando l’uomo finalmente è stato portato nel carcere di Tunisi, dove attende la sentenza della Cassazione che potrebbe aprire la strada all’estradizione, negata una prima volta dalle autorità tunisine. A scatenare la violenza del tunisino contro la moglie sarebbe stata la gelosia. L’ha ammazzata mentre si trovava in casa, in un’altra stanza, anche uno dei figli, che ha descritto le sue sensazioni in un tema scolastico letto in aula nel corso del processo d’appello. Venerdì la sentenza a carico dell’uomo potrebbe diventare definitiva, al termine di un’udienza preceduta dalla serie di telefonate anonime provenienti dall’altra parte del Mediterraneo.