Brescia – Conferma dell’ergastolo e zero attenuanti, da un lato. Giustizia riparativa e richiesta di una nuova valutazione psichiatrica sul gruppo, l’ex trio criminale, con la speranza del riconoscimento delle attenuanti per avere uno sconto di pena, dall’altro. A distanza di oltre quattro anni è tornato in aula, stavolta in appello, l’omicidio di Laura Ziliani, l’ex vigilessa 55enne di Temù che l’8 maggio 2020 fu narcotizzata da una dose massiccia di bezodiazepine infilate in un muffin, strozzata a mani nude, infine sotterrata in biancheria intima lungo il greto del fiume Oglio, così da simulare un incontro erotico finito male.
Le figlie, Silvia e Paola Zani, 29 e 21 anni, all’epoca si precipitarono a diffondere accorati appelli per ritrovare la madre che a loro dire era scomparsa durante una passeggiata in montagna. Invece saltò fuori che la donna, il cui corpo fu disseppellito tre mesi dopo da una piena, era stata uccisa dalle ragazze e dal fidanzato di entrambe, il 29enne sopranista Mirto Milani.
Condannati all’ergastolo, i tre ieri sono comparsi in Corte d’assise d’appello. Mirto, felpa blu, occhiali e capelli legati, in apertura di udienza ha balbettato nuovamente le proprie scuse per “l’enormità che ho combinato”, e ha chiesto di accedere alla giustizia riparativa. Idem la ormai ex Silvia, maglia bianca e testa alta, mentre Paola, giacca in pelle nera e chignon, al momento non si è pronunciata (il suo legale, Michele Cesari, era assente per legittimo impedimento, ndr).
I parenti della vittima - la terza figlia Lucia, che soffre di un lieve ritardo mentale, l’anziana madre Marisa e gli zii Massimo e Michele - si sono opposti. Ma i giudici, presidente Claudio Mazza, hanno prestato l’assenso, a cui ora seguirà la nomina di mediatori che proveranno a individuare un percorso.
Il processo è poi entrato nel vivo con la discussione delle parti, sedute sui due lati opposti della vicenda. Per il pg Domenico Chiaro, che a differenza della prima Corte d’assise rivaluta il movente economico, l’ergastolo è “l’unica via per rendere giustizia alla povera Ziliani”, e la concessione delle attenuanti “impensabile”. Semmai, ha sottolineato il pg, “ci sarebbe spazio per l’ulteriore aggravante della crudeltà, giacché la vittima ha agonizzato 6 o 7 minuti”. Non serve nemmeno una nuova perizia psichiatrica: “i tre sono stati giudicati ampiamente capaci di intendere e di volere”. C
orretta poi per l’accusa la sentenza di primo grado che qualifica l’occultamento di cadavere nel reato più grave della soppressione: “Quel corpo fu seppellito sotto uno strato di malta, adagiato su un fianco con la testa rivolta a Temù, che Ziliani tanto amava. Doveva essere una collocazione definitiva“. Quanto alla premeditazione, “è grande come una casa, e pesa sull’impossibilità di arrivare a un bilanciamento tra aggravanti e attenuanti.
La Corte ne ha escluso in radice la concessione, anche per assenza di reale resipiscenza e di confessioni spontanee. Non bastano la giovane età e l’incensuratezza dei tre per rideterminare la pena. Non fatevi condizionare dalla favoletta del fine pena mai e del buttare via la chiave. Il nostro ordinamento prevede che anche gli ergastolani escano per lavorare e godano di benefici che possono essere ottenuti con cadenze temporali ravvicinate”. E ancora: “Non hanno mai nemmeno versato un euro alla sorella Lucia in difficoltà. E non c’è uno sbilanciamento tra i ruoli. Mirto ha messo la mano al collo della signora perché le sorelle avevano bisogno della forza dell’uomo per completare l’omicidio”.
Al contrario per l’avvocato Maria Pia Longaretti, che assiste Silvia, la perizia di primo grado ha un ‘vulnus’ che dovrebbe essere sanato da una nuova valutazione psichiatrica: “non è stato fatto un accertamento su una possibile incapacità di intendere del gruppo, che potrebbe aver influito sulla capacità dei singoli: Silvia ha delle fragilità. Nel 2016 in seguito alla morte del padre subì un ricovero per depressione. Ha iniziato a staccarsi dalla dinamica patologica del gruppo tardi”. Anche l’avvocato Stefania Prestipino chiede una nuova perizia e attenuanti per Mirto. “Se fosse prevalsa la sua volontà l’omicidio non sarebbe stato compiuto e le ragazze l‘avrebbero portato a termine anche senza di lui. Dei tre era il meno convinto, oltre che il più fragile. Ha ucciso per non essere espulso dal trio”. Si prosegue il 22 novembre.