GABRIELE MORONI
Cronaca

Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, su Netflix la serie che dà voce a Massimo Bossetti: “Rifatemi il test del Dna”

Delitto Gambirasio, dal 16 luglio la docuserie sull’omicidio della 13enne di Brembate. Tra domande rimaste sopite (ma non dimenticate) e il verdetto dei processi, con la condanna all’ergastolo per il muratore di Mapello. L’intervista in carcere: “Io, innocente. Ancora mi chiedo perché sono finito in questa storia”

Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio, dal 16 luglio su Netflix

Le corti di giustizia hanno espresso da tempo un univoco giudizio e Massimo Giuseppe Bossetti sconta una condanna definitiva al carcere a vita, riconosciuto nei tre gradi di giudizio come il predatore che nella terribile sera del 26 novembre 2010 ghermì Yara Gambirasio per poi abbandonarla a una agonia di ore tra le sterpaglie di un campo, fino a morire di ferite, gelo, stenti, spasmi. Ma ecco le corti televisive riproporre il caso della tredicenne di Brembate di Sopra e suscitare domande che in tutti questi anni sono rimaste sopite ma non dimenticate nella memoria (e nella coscienza) di tanti.

La docuserie 

"Il caso Yara: oltre ogni ragionevole dubbio" (il punto interrogativo viene omesso ma è facilmente intuibile), la docuserie prodotta da Quarantadue, che approda oggi su Netflix, nasce da uno sforzo imponente di Gianluca Neri e della sua squadra, gli stessi di "SanPa: luci e tenebre di San Patrignano": oltre 60 mila pagine di documenti consultati, migliaia di ore di materiale video visionate, decine di testimonianze raccolte. Verità processuale e verità assoluta nel caso Yara coincidono? E' l'interrogativo-dubbio che gli autori, con Neri, Carlo G. Gabardini ed Elena Grillone, intendono lasciare allo spettatore.

Dalla scomparsa a “Ignoto 1”

La scomparsa di Yara, promessa della ginnastica ritmica, in quei 700 metri fra il centro sportivo di Brembate e la sua abitazione che si trasformano in un tunnel oscuro e infinito. L'angoscia dei genitori, che riescono a mantenere dignità e compostezza anche quando lanciano il più disperato degli appelli. Il fermo di Massimo Bossetti, artigiano edile con una graziosa moglie e tre figli, inchiodato dalla scienza come l"'Ignoto 1" che ha lasciato la sua firma genetica sugli indumenti della piccola vittima.

Massimo Bossetti

Il docu film converge gradualmente su di lui, detenuto tra le mura chiare del carcere di Bollate, aspetto curato, cancellata dal tempo trascorso in reclusione l'abbronzatura perenne da muratore, rimossa l'ossigenatura dei capelli. Offre di sé l'immagine dell'innocente ancora sgomento e incredulo. E accusa. "Mi sono sempre chiesto perché sono finito in questo caso. Me lo chiedo tuttora. Quando ero chiuso in isolamento, mi è venuto a far visita un comandante. Ha fatto portare dentro un foglio bianco, ha sfilato una biro dal taschino e mi ha detto: 'Dobbiamo arrivare a un compromesso. Lo capisce quello che voglio dire? Vuole vedere la sua famiglia? Vuole vedere i suoi figli? O vuole stare qui in questo buco? Reagisca e metta giù quello che le dico: io, Bossetti Massimo, mi trovavo lì ...'. Ho cominciato a capire cosa voleva farmi. Ho preso il foglio e gliel'ho lanciato addosso. Hanno portato fuori il tavolo e la sedia e ha detto: 'Tenetelo chiuso e per due giorni non passate col vitto' ".

Il ruolo del Dna

Il 16 giugno 2014 è il giorno delle manette. In serata i Bossetti sono una famiglia lacerata, dilaniata. Il filo rosso delle indagini si è dipanato attraverso migliaia di Dna raccolti nelle valli bergamasche e la loro analisi. Si è arrivati alla scoperta che l'uomo in carcere ha un padre che non è Giovanni Bossetti ma Giuseppe Benedetto Guerinoni, autista di pullman di Gorno, che un tumore si è portato via quindici anni prima. Da una sua relazione con Ester Arzuffi sono nati Massimo (all'anagrafe Massimo Giuseppe) e la gemella Laura Letizia. Al comando carabinieri di Bergamo, le "cimici" intercettano lo scontro verbale tra Ester e Marita Comi, moglie del fermato.

La rivelazione

Seguirà a breve una nuova rivelazione: l'altro fratello, non è figlio né di Giovanni Bossetti né dell'autista Guerinoni. Nel docu film è un drammatico dialogo a distanza tra Ester, morta da anni e attualizzata con spezzoni di interviste, tetragona nel negare, e il figlio ergastolano. "Ho chiesto - dice Bossetti - al mio difensore, l'avvocato Claudio Salvagni, di poter fare gli esami del Dna, da privato. E davanti a un accertamento fatto da tutti noi familiari, a nostre spese, ho scoperto la cruda verità".

La richiesta

C'è un'altra verità scientifica davanti alla quale Bossetti non cede, non vuole cedere: il suo codice genetico, chiaro, indelebile, accusatore, sugli slip e i leggins di Yara. Da Bollate l'uomo non si arrende, rilancia e reitera la sua richiesta: "Ho sempre chiesto, insistentemente, di concedermi la ripetizione di un semplice esame scientifico. Chi sarebbe, chi è quel pazzo che chiede di poter ripetere una prova scientifica se fosse coinvolto in un omicidio?". E' il messaggio-appello di Massimo Bossetti da una cella. Una delle voci nel film ne lancia un altro: non dimenticare Yara Gambirasio.