Elena Casetto morta a 19 anni nel rogo in Psichiatria a Bergamo: servono altre indagini

Nel motivare la sentenza sul caso il giudice ha indicato altri elementi che la Procura deve approfondire

Elena Casetto

Elena Casetto

Bergamo – Elena Casetto (nella foto) , 19 anni, perse la vita nel rogo che lei stessa appiccò nella sua stanza del reparto di Psichiatria del Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Era la mattina del 13 agosto del 2019. La giovane era in contenzione, dopo un tentativo di suicidio. Nelle motivazioni il giudice Laura Garufi ha argomentato perché sono stati assolti i due addetti all’antincendio, Alessandro Boccamino, 33 anni, di Lissone e il collega Eugenio Gallifuoco, 32 anni, di Paderno Dugnano, ma allo stesso tempo ha ravvisato gravi omissioni da parte dell’ospedale Papa Giovanni XXIII.

«Emergono con prepotente evidenza numerosissimi fattori di pericolo, non adeguatamente valutati – si legge nella sentenza –: disponibilità di fiamme libere (gli accendini: erano tre, uno quello con cui la diciannovenne appiccò il fuoco e venne trovato addosso), presenza di lenzuola non ignifughe, non attivazione dell’impianto sprinkler, omessa predisposizione di misure compensative (sostituzione con impianto di nuova generazione), omessa realizzazione dell’impianto di espulsione dei fumi caldi (previsto in altri reparti), omessa predisposizione di misure atte a contenere le conseguenze del possibile coinvolgimento dei gas medicali in un incendio".

Il giudice ha trasmesso gli atti alla Procura perché a suo avviso vadano approfonditi altri fronti. Ad esempio si chiede di valutare l’eventuale responsabilità in ordine al datore di lavoro di allora (riconosciuta nell’ex direttrice generale del Papa Giovanni XXIII, Maria Beatrice Stasi) e del responsabile della prevenzione dei rischi in merito alla "omessa valutazione de rischio di incendio", ruolo ricoperto all’epoca da Tatiana Ferrari. Il giudice nelle motivazioni insiste sulle lenzuola di cotone "inspiegabilmente presenti per ragioni di esclusivo "maggiore comfort" e sulla assenza dell’impianto antincendio a sprinkler, quello con gli spruzzatori a grappolo che scendono dal soffitto. L’ospedale non li utilizzava per motivi di sicurezza, i pazienti avrebbero potuto usarli per ferirsi. Il giudice, però, fa notare come dopo la morte della giovane vennero installati sistemi a scomparsa. Inoltre viene rilevato come mancassero anche impianti "compensativi" per la espulsione dei fumi.

Lenzuola, altro materiale non ignifugo nella stanza, assenza di impianto antincendio - scrive il giudice - provocarono il divampare veloce delle fiamme, che intaccarono anche i tubi dai gas medicali che passavano sopra il letto di Elena Casetto. Il perito del tribunale concluse che la diciannovenne morì nel giro di pochi secondi. Di conseguenza, come si legge nella sentenza, nulla avrebbero potuto fare in più i due addetti dell’antincendio, di qui l’assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste. "Fecero quello che avrebbero dovuto fare", ha concluso il giudice: intervenire nel giro di otto minuti come prescritto, "usare prima gli estintori e poi gli idranti. Sbagliarono perché presero la manichetta più lontana dalla stanza della paziente, ma anche se avessero usato quella corretta era ormai troppo tardi".