Inchiesta Covid: quella famiglia decimata dopo l’esame in ospedale

Alzano, l’accesso al Fenaroli per un accertamento e subito il contagio. Quattro vittime e una settimana senza tracce della salma del padre

Reparto Covid (Archivio)

Reparto Covid (Archivio)

Bergamo -  Esposti alla Procura di Bergamo. Richieste di giustizia per un familiare perduto ma anche testimonianze drammatiche, dolorosissime, di chi ha avuto la vita attraversata e segnata per sempre dal Covid. Racconti come quello di Annamaria, a cui non è stata risparmiata nessuna delle prove legate alla pandemia: il virus pesantemente contratto dal marito all’ospedale di Alzano Lombardo e trasmesso in famiglia, la morte del padre, quel rimanere per molti giorni senza notizie della salma, altre morti fra i parenti, le domande che tormentano lei come tanti sull’affrettata riapertura del pronto soccorso di Alzano e la "zona rossa" mai scattata a blindare la Valseriana.

Il 18 febbraio del 2020 il marito di Annamaria è all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano per un Ecocolordoppler. Sei giorni dopo i coniugi si ammalano di un’influenza "strana", oltre alla febbre una spossatezza mai provata e nausea. La donna guarisce in una settimana, il marito non migliora. Il 3 marzo anche il padre di Annamaria, un uomo che porta gagliardamente le sue 88 primavere, si ammala della stessa "influenza". Un rapido peggioramento il 10 marzo. L’anziano muore in serata nella sua abitazione. Le pompe funebri sono al collasso. Due interpellate rispondono di essere in quarantena per coronavirus. La terza accetta l’incarico solo perché il decesso è avvenuto in casa e non in ospedale. L’11 marzo il corpo viene messo in un sacco nero e portata via. È stato vestito, gli sono stati messi dei fiori come era stato richiesto? I familiari non lo sanno. Sono senza notizie. Deve trascorrere una settimana prima che vengano a sapere che la salma sarebbe stata trasportata ad Alessandria perché i forni crematori della provincia di Bergamo sono al collasso. Dopo molti giorni e continue insistenze, apprendono del rientro delle ceneri. Il 12 marzo Annamaria accompagna a fatica il marito, stremato, all’ospedale di Seriate. Il responso della radiologia polmonite per sospetta infezione da Covid-19. Invio al pronto soccorso. Qui la scena è quella di un girone infernale: oltre alcuni grandi teli stesi all’ingresso, a fare da divisorio, si intravedono le figure di moltissimi pazienti. Il marito è ricoverato. Annamaria viene immediatamente messa in quarantena obbligatoria in casa, in solitudine perché i figli abitano lontano.

Il Covid incrudelisce. Il 24 marzo muore uno zio, fratello del padre. Il virus si porta via anche due cugini della madre. Il 30 marzo il marito viene dimesso dopo due tamponi negativi. C’è la salute da recuperare. C’è il danno psicologico subito dalla coppia. Annamaria non ha dubbi: a causare la morte del padre sono stati l’accesso del marito all’ospedale di Alzano, la mancata immediata chiusura, la mancata istituzione della "zona rossa" in quel martoriato territorio, scelta che ha contribuito alla diffusione incontrollata del contagio. Nel pomeriggio del 23 febbraio 2020, osserva l’esposto, comincia a girare "vorticosamente" su Facebook un comunicato dell’ospedale: avverte che il pronto soccorso è chiuso per emergenza.

Cosa è accaduto? Sono stati individuati due casi di Covid, di cui uno sicuramente transitato per il pronto soccorso. "Poche ore dopo il comunicato scompare e il pronto soccorso riapre. Senza una sanificazione approfondita (verrà fatta quattro giorni dopo), senza la creazione di un percorso alternativo covid-risk, senza un triage differenziato, senza alcun tracciamento dei pazienti e del personale, senza nessuna disposizione particolare per il personale".