Italiane rapite in Siria: Vanessa e Greta aiutavano bambini e malati

Le cooperanti erano in Siria dal 28 luglio per un’organizzazione umanitaria da loro stesse fondata: il progetto Horryaty. Avevano con loro 5mila euro in contanti di Bruna Bianchi

Greta Ramelli e Vanessa Marzullo (foto da Facebook)

Greta Ramelli e Vanessa Marzullo (foto da Facebook)

Milano, 7 agosto 2014 - Di Vanessa Marzullo, ventunenne di Brembate di Sopra (Bergamo), e di Greta Ramelli, vent’anni, di Besozzo (Varese), non si sa più niente dalla notte del primo agosto. Nella casa dove dormivano ad Abzimo, sobborgo della martoriata Aleppo, in Siria, hanno fatto irruzione alle 4 del mattino una ventina di uomini armati, probabilmente miliziani, e le hanno rapite. Le due guardie siriane del battaglione Noureddin Al Zengi lì per proteggerle, sembra certo che siano già state rilasciate. Le cooperanti erano in Siria dal 28 luglio per un’organizzazione umanitaria da loro stesse fondata: il progetto Horryaty di cui era responsabile anche un altro cooperante italiano, Roberto Andervill, attivista da anni in Bosnia e in Palestina. «Da giorni non comunicavo con loro» si è limitato a dire come hanno fatto altri cooperanti che hanno avuto l’ordine di silenzio dalla Farnesina. La decisione del ministero degli Esteri di divulgare ieri i nomi delle ragazze a distanza di sei giorni dal rapimento, lascia sperare che i contatti diplomatici avviati siano arrivati a identificare delinquenti comuni interessati ai soldi (5000 euro) che le ragazze avevano con sé. Non era la prima volta che Vanessa e Greta andavano in Siria. La prima volta c’erano state a marzo con Andervill, socio Ipsia di Varese, per prendere visione della situazione e capire che tipo di aiuto poteva interessare alla popolazione. Si erano prefissate il compito di portare kit di pronto soccorso e costruire una rete di supporto medico per affrontare le emergenze della sanguinosa guerra che sta facendo fuggire migliaia di siriani nel resto del Medio Oriente e in Europa.  Vanessa è laureata in Mediazione linguistica e culturale alla Statale di Milano, parla l’arabo ed era attivissima già da due anni sia nella raccolta fondi sia nella sensibilizzazione del conflitto siriano. A soli 19 anni aveva partecipato a una manifestazione a Bologna fondando il Comitato 17 novembre 2011. Aveva detto: «Siamo qui per tutti quei bambini che non ci sono più». Della salvezza dei bambini e degli amici siriani ne aveva fatto un caso personale: «Dicono che i miei amici sono terroristi, ma quali terroristi! Con loro parlo su Skype alla sera». Con lo slogan «Segui il tuo cuore», di cui andava fiera, manteneva contatti con i ragazzi siriani anche per le traduzioni in inglese. Greta aveva alle spalle diverse missioni umanitarie in Africa. La sua pagina Facebook è ferma al 31 luglio con una foto di Aleppo devastata dal bombardamenti. Sulla pagina di Vanessa l’ultimo post è del 16 luglio. 

le due ragazze si sentivano sicure e protette. «Atterrati in Turchia — hanno scritto sulla pagina Facebook del progetto umanitario — siamo stati accompagnati da una guida siriana nella sua terra, di preciso nelle zone rurali di Ibdeb, a sud ovest rispetto ad Aleppo». A marzo si erano rese conto della carenza di medicinali e il 28 luglio erano ripartite per la Siria dopo avere raccolto il necessario per distribuirlo alle popolazioni dei campi profughi. Stavolta erano entrate nel Paese passando da Atma, al confine con la Turchia. La casa dove vivevano da 72 ore era nei pressi appunto del grande campo profughi. La Farnesina mantiene i contatti con le famiglie, mentre le organizzazioni umanitarie in Italia che collaborano alla raccolta fondi e ai kit di primo soccorso per malati e bambini, tacciono per timore di rendere più difficile la loro liberazione.