Strage familiare di Samarate, Alessandro Maja: “Ho commesso un reato imperdonabile ma chiedo perdono”

In aula il killer ha incontrato il figlio Nicolò, unico sopravvissuto alla mattanza: “Non si torna indietro, ma non penso al suicidio”

Alessandro Maja in un’udienza del processo in corso a Busto Arsizio per gli omicidi della moglie Stefania Pivetta e della figlia Giulia

Alessandro Maja in un’udienza del processo in corso a Busto Arsizio per gli omicidi della moglie Stefania Pivetta e della figlia Giulia

Samarate (Varese) – "Ho commesso un reato imperdonabile e chiedo perdono, non so come scusarmi". Sono alcune frasi pronunciate da Alessandro Maja, l'interior designer che a maggio dell'anno scorso ha ucciso la moglie Stefania Pivetta e la figlia Giulia, riducendo in fin di vita il primogenito Nicolò, nella villetta di famiglia a Samarate, che oggi ha rilasciato dichiarazioni spontanee davanti alla Corte d'Assise di Busto Arsizio.

Si è rivolto al figlio, presente in aula, e anche "alla mia Giulia". "Nicolò, mi hai conosciuto come padre - ha detto - e forse come padre ti sono piaciuto. Purtroppo la cosa è successa e non si torna indietro, non penso al suicidio". L'uomo, rispondendo alle domande del pm, dopo aver ammesso le sue responsabilità ha parlato anche di problemi legati alla sua attività e di un rapporto difficile con la moglie. "Spendeva troppi soldi - ha sottolineato - e mi sentivo trascurato, se tornavo a casa dopo aver tagliato i capelli non si accorgeva neanche". Poi ha dato la sua spiegazione sulla sua richiesta di scuse alla figlia, nei giorni precedenti alla strage: "L'ho fatto perché mi sentivo triste, ero un papà diverso e lei lo capiva".

Alessandro Maja, durante l'interrogatorio durato circa un'ora, è scoppiato più volte in lacrime e ha rivolto lo sguardo verso il figlio. "Avevo una bellissima famiglia - ha detto - io ero una persona con pregi e difetti, come tutti". Si è soffermato a lungo sui problemi con la moglie che, a suo dire, spendeva troppi soldi. "Il nostro solaio era diventato un magazzino - ha riferito - continuava a comprare cose che non usava e quando la rimproveravo per le spese eccessive diceva di avere un disturbo che la spingeva a fare acquisiti. Litigavamo, c'erano discussioni come in tutte le famiglie, e a me dispiaceva perché le volevo bene". Ha parlato anche del rapporto con i figli Nicolò e Giulia, definendoli "due ragazzi meravigliosi" e ricordando alcuni episodi della vita in famiglia. "Ogni settimana eravamo abituati a mangiare per tre sere sushi, pizza o kebab - ha spiegato - che mi fermavo a prendere dopo il lavoro. Era un nostro rito, ma ultimamente non facevamo più neanche quello. Il lavoro non andava bene, c'era stato un calo dovuto al Covid e ad altre situazioni. Tutti cercavano di rassicurarmi ma ero sempre più preoccupato e ansioso, non riesco ancora a spiegarmi il perché".

Fuori dall’aula, Nicolò ha commentato le dichiarazioni del padre. "Non riesco a provare odio nei confronti di mio padre – ha detto - ma almeno nel breve periodo non penso di poterlo perdonare. Non ho ancora capito, dopo tante parole, perché ha distrutto la nostra famiglia". Il 24enne si è presentato in aula, come nelle scorse udienze, con una t-shirt con stampate le foto delle vittime.